giovedì 8 dicembre 2011

Sottili contraddizioni, purché si venda

Qualche tempo fa ero rimasto scioccato dalla vendita di sale da cucina esotico a prezzi esorbitanti. Come tutte le tendenze illogiche ed assurde (ma con la dovuta spinta commerciale), anziché esaurirsi la tendenza si è espansa.

È importante anche spiegare ai consumatori perché si dovrebbe comprare del sale comune che ha attraversato il globo per arrivare sulla tavola. Dove il verbo “spiegare” è usato in accezione di marketing, ossia: “fornire una serie di frasi, non necessariamente coerenti, non necessariamente pertinenti, ma non smentibili facilmente ed invece ripetibili a piacere, anche parzialmente”. Così ciascuno ricorderà la parte che più lo avrà impressionato, e potrà diffondere il meme tra i conoscenti.

Interessante soprattutto dissezionare il testo dell’annuncio. Quanti errori logico-scientifici riuscite a trovare?

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Io ho trovato i seguenti:

  • cosa significa la completezza della forma di un cristallo? e che impatto ha un cristallo perfettamente cubico sul suo sapore e sulle sue proprietà nutrizionali?
  • il fatto che il sale sia particolarmente prezioso è un’affermazione sul suo costo, non sulle sue qualità
  • ma se viene lavato ed asciugato (a mano ed al sole, certo), allora i cristalli si dovrebbero sciogliere e ri-formare, no? maledizione, ho perso la completezza della forma
  • cercate sul dizionario il significato di bioenergetica: trattasi di un metodo psicanalitico che combina terapia corporea e psicoterapia verbale. Mi sembra difficile trovare il nesso con le qualità di un sale
  • è invece innegabile l’evidente importanza del mare primordiale da cui abbiamo avuto origine…. ma di cosa stiamo parlando? E quale mare sarebbe?
  • Non mi risulta che l’Himalaya sorga su un mare prosciugato. Piuttosto, sono terre emerse per motivi tettonici, che inizialmente erano subacquee.
  • La mia preferita: puro con i suoi 84 elementi naturali. Uno strano concetto di purezza, se comprende ben 84 composti diversi. Non deve essere facile decidere quali composti estranei contribuiscono alla purezza, e quali invece sarebbero da evitare in quando inquinanti…
  • A questo punto, rimuovere le scorie che accumuliamo assumendo sali industriali diventa chiarissimo: i sali industriali non contengono quegli 84 composti privilegiati, ma ne contengono altri che quindi sono classificati come scorie.

Posso essere d’accordo che molti prodotti industriali siano qualitativamente infimi, ma se l’alternativa “naturale” deve essere questa, meglio starne lontani.

lunedì 5 dicembre 2011

Animali domestici inconsueti

Non entrano in casa, non disturbano di giorno, eliminano zanzare ed altri insetti, non abbaiano né miagolano né emettono versi nello spettro udibile.

Non ci avevo mai pensato, ma sembra proprio che i pipistrelli siano animali domestici ancora più semplici da gestire dei pesci rossi…

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Peccato che l’opuscolo divulgativo “un pipistrello per amico” non sia consultabile senza acquistare la casetta.

lunedì 31 ottobre 2011

Chi ben comincia…

Il “tirocinio formativo e di orientamento non curriculare” è una forma di esperienza lavorativa riservata ai neo-laureati, che possono svolgere un periodo di esperienza di 6 mesi al massimo, entro 12 mesi dal conseguimento del titolo di studio (laurea o laurea magistrale). [DL 138 del 13/11/2011, art. 11] Tale forma di tirocinio non porta a crediti formativi e non è inserito in alcun modo nei percorsi di studi universitari. Chiamiamolo “facoltativo”, per capirci?

Come dire, se sono un’azienda-squalo, posso prenderti appena laureato “in prova” per 6 mesi, pagarti molto poco, e poi gettarti nel bidone dell’umido quando non mi servirai più. Oppure, se sono un’azienda seria, possiamo effettivamente collaborare per un breve periodo con una retribuzione degna (e fortemente detassata), per poi passare ad una regolare assunzione.

Personalmente, non ho mai capito quale debba essere il ruolo dell’università in tutto ciò, visto che i benefici sono tutti per l’azienda, ma l’ateneo sostiene dei costi di gestione ed avalla il “piano formativo” previsto per legge.

Ovviamente si trovano offerte di tutti i tipi, dalle più serie alle più originali. Ha attirato la mia attenzione questo annuncio, posto nei corridoi frequentati dagli studenti di Ingegneria del Cinema.

Ricerca giovani per tirocinio formativo extracurriculare

Credo che avranno serie difficoltà a trovare candidati con l’esperienza richiesta, visto che i software Final Fut e After Effetcs non sono così noti e diffusi come gli usatissimi Final Cut ed After Effects.

Oppure è il rileggere le bozze a non essere più così diffusa come pratica?

domenica 30 ottobre 2011

Perché le spostano a mano, una ad una

Volevo appostarmi di fronte questa notte, tra le 2 e le 5, per conoscere l’omino che fa il giro di tutti i bancomat e manualmente ne sposta le lancette.

Gentile cliente, a causa del passaggio dall'ora legale all'ora solare lo Sportello ATM rimarrà fuori servizio dalle ore 02.00 (ora legale) alle ore 05.00 (ora solare) di domenica 30 ottobre. Ci scusiamo per il disagio.

sabato 29 ottobre 2011

Puntualità interculturale

Per noi popoli latini la puntualità, si sa, non è il nostro forte.

Solitamente, quando si organizza un evento, ad esempio serale, vi è sempre un orario ufficiale (es. le 20:30) ed un orario entro cui ci si attende che le persone arrivino davvero (es. le 21:00). Addirittura vi è un’espressione apposita, che viene utilizzata esclusivamente in forma verbale: “alle 20:30 per le 21:00”.

La conoscenza del contesto ci fa normalmente capire quale sia l’entità del “margine” di tempo: 5-10 minuti per riunioni/incontri di poche persone, 30 minuti per eventi serali organizzati da associazioni, fino a 60 minuti per manifestazioni più ampie oppure per l’uscita serale dei giovani.

I popoli anglosassoni, anche questo si sa, si trovano a disagio con i concetti “flessibili”, ma in contesti internazionali devono ovviamente adeguarsi e/o gestire la cosa. E producono cose come il curioso invito qui riportato, che ho ricevuto in occasione della cena sociale di un recente congresso.

Conference Dinner - 27 july 2011 - Old Library - 19:15 for 19:30

Gli organizzatori (inglesi) hanno utilizzato la stessa convenzione (informale, non detta e non scritta) del “ritardo accademico” di 15 minuti, e l’hanno formalizzata ufficialmente sul biglietto di invito. La cena era infatti convocata alle “19:15 for 19:30”. Così non hanno rischiato di fare attendere inutilmente i nordici (che sarebbero arrivati puntuali all’ora X) né di veder arrivare in ritardo i meridionali (che sarebbero arrivati all’ora X+15). Anche questa è interculturalità.

A modo loro, hanno risolto brillantemente il problema!

venerdì 28 ottobre 2011

Politically (troppo?) correct

IEEE Spectrum è una rivista abbastanza nota nel campo della ricerca, poiché viene inviata a tutti gli iscritti alla IEEE (l’associazione professionale internazionale degli ingegneri elettrici, elettronici, informatici). Come sempre, a fianco della rivista cartacea, vi è un sito web, che pubblica notizie aggiuntive, anteprime degli articoli ed altri aggiornamenti. Esiste anche un servizio “IEEE Spectrum TechAlert” che invia via e-mail i titoli degli articoli più recenti e rilevanti.
E stavolta l’ha fatta grossa. Almeno, così dicono loro, perché a me non pareva così grave.
Arduino boardIeri hanno pubblicato un articolo dal titolo “With the Arduino, Now Even Your Mom Can Program”. In realtà questo era il titolo della news alert, mentre l’effettivo titolo dell’articolo era un più insipido “The Making of Arduino”.
Putiferio.
Pare che vi sia stata una rivolta internazionale perché si faceva riferimento ad “even your Mom”, come metafora della facilità di utilizzo e programmazione, accessibile anche alla fascia di popolazione non native-digital.
Nonna PaperaEvidentemente questa immagine evoca un cliché di Mom più simile a Nonna Papera (che passa le giornate in casa a sfornare torte ed a gestire le marachelle dei nipotini), che non all’effettivo ruolo delle donne e madri contemporanee, che sono altrettanto capaci e tecnologicamente avanzate quanto i loro mariti o figli/e.
Ma era una battuta, no? Un titolo ad effetto, no? io credo di usare metafore simili moltissime volte, nei miei corsi, ma non mi sono mai preso una denuncia da associazioni di madri, nonne, prozie, o collaboratrici domestiche (per la frase “i conti della serva”).
Invece la cultura anglosassone è estremamente attenta a queste minuzie, accusando di sessismo e stereotipia la formulazione del titolo. Talmente attenta, che addirittura è costretta a violentare la sintassi della propria lingua madre (chi non è stufo di scrivere “he or she” per essere gender-neutral?).
Nel caso di IEEE Spectrum TechAlert, si è dovuta muovere l’Editor in Chief di IEEE Spectrum (il redattore capo), che fortunatamente (ai fini di placare l’incidente diplomatico) è una donna, Susan Hassler. Ella si scusa scrivendo:
Susan HasslerI'm an IEEE member, and a mom, and the headline was inexcusable, a lazy, sexist cliché that should have never seen the light of day. Today we are instituting an additional headline review process that will apply to all future Tech Alerts so that such insipid and offensive headlines never find their way into your in-box.
Forse perché il Italia abbiamo anche altri motivi per scandalizzarci, ma personalmente mi pare che sia una reazione un tantino esagerata, rispetto ad un titolo giornalistico, che in estrema sintesi riusciva a convogliare un messaggio chiaro.
Sono anch’io lazy and sexist oppure sono loro che esagerano con la mania del politically correct?

giovedì 20 ottobre 2011

Innovazione, come impedirla

Jobs ed i garage

In questi giorni si è molto parlato della carriera di Steve Jobs, come modello di imprenditore ed innovatore. Senza nulla togliere al carisma della persona ed alla capacità di marketing della sua azienda, molte riflessioni hanno analizzato gli inizi della sua attività, basata su quel modello dei “garage boys” che tanti frutti ha dato nella Silicon Valley degli anni ’70-’80.

A questo proposito ho trovato molto interessante l’allegoria di Stefano Lavori, che descrive cosa sarebbe successo a Jobs se fosse nato a Napoli (ma il tutto è generalizzabile all’Italia intera). Molto divertente e stimolante il pezzo, ma ancora più interessanti sono i commenti, scritti evidentemente da una parte giovane della popolazione, che grossomodo si dividono tra il “bisogna emigrare” ed il “bisogna resistere ad ogni costo”. Triste la pressoché mancanza di commenti del tipo “bisogna cambiare le regole, ed innovare a casa nostra”, indice di scarsissima fiducia nel sistema imprenditoriale ed in quello politico-amministrativo.

Ritchie ed i Bell Labs

Esiste (o esisteva?) anche un altro modello di innovazione, esemplificato da un altro personaggio cardine della storia dell’informatica, anch’egli deceduto in questi giorni (il 12/10/2011), seppur con molto meno clamore: Dennis Ritchie, di una generazione precedente a Jobs. Ritchie, insieme a Brian Kernighan e Ken Thompson faceva parte di un piccolo gruppo di persone, presso i laboratori di ricerca “Bell Labs” del colosso americano AT&T (l’equivalente della nostra Telecom, su scala americana). A differenza degli Steve Jobs e dei Bill Gates, questi personaggi erano ricercatori che avevano un lavoro alle dipendenze di una multinazionale. Ma una multinazionale che sapeva ancora cosa vuol dire fare ricerca.

Il modello di ricerca dei Bell Labs era molto semplice: le persone più brave a fare ricerca venivano lasciate libere di farla. Potevano scegliersi gli argomenti su cui lavorare. Avevano a disposizione le risorse (umane e tecnologiche) per farlo. L’ipotesi di partenza era lapalissiana: se prendo delle persone in gamba e le lascio esprimere, senza troppi vincoli, lacciuoli e laccetti, certamente qualcosa di buono salterà fuori. Ed in ogni caso il costo di un centinaio di persone è praticamente impercettibile in una grande impresa.

E così nel 1969 i nostri Thomspson, Kernighan e Ritchie, stufi di utilizzare un sistema operativo troppo complesso e farraginoso, decisero di provare a scriverne uno più semplice, che soddisfacesse i loro personali requisiti operativi ed estetici. Ottennero facilmente il permesso di utilizzare un vecchio PDP-7 inutilizzato, ed iniziarono a “giocarci”.

Fu così che partorirono la prima versione di Unix. Per gioco. E poiché erano stufi di programmare in assembler, anche perché avrebbe reso impossibile migrare Unix su hardware diversi, decisero (eresia, a quei tempi!) che avrebbero scritto il sistema operativo in un linguaggio di alto livello. Visto che i linguaggi disponibili all’epoca non erano adatti allo scopo, inventarono il linguaggio C. Sempre per gioco.

Un gioco che ebbe influenza su tutta l’informatica moderna.

Oggi, a circa 40 anni di distanza, ogni volta che accendiamo uno smartphone (sia esso un iPhone o un Android), al suo interno parte un sistema operativo derivato da Unix (da una sua versione commerciale od open source, poco importa). Ogni volta che in un indirizzo web scriviamo il carattere slash ‘/’ per indicare una directory, questo discende dalle scelte fatte nella creazione di Unix.

Ogni volta che un programmatore digita ‘{‘, o per andare a capo usa ‘\n’, o pensa al tipo di dato int, riprende il lavoro fatto ai Bell Labs 4 decenni fa. Anche se, oggi, non si programma solo in C ma prevalentemente in C++, C#, Java, JavaScript, php, ActionScript (Flash), … e decine di altri linguaggi minori, che affondano tutti le radici nel C.

Ogni volta che usiamo Internet, lo facciamo grazie al lavoro di altri ricercatori che nel decennio successivo poterono “giocare” con Unix, ed aggiungerne in modo sperimentale le funzionalità di rete, inventando il protocollo TCP/IP. Ciò fu possibile solo su Unix, visto che il sistema operativo era piccolo, leggero, portatile e soprattutto disponibile gratuitamente (no, non open source, il concetto non esisteva ancora) per le università e gli enti di ricerca.

La lezione non appresa

I modelli sopra descritti, che fanno parte della storia, sembrano non avere lasciato traccia nelle organizzazioni oggi deputate a stimolare la ricerca e l’innovazione, siano essi gli enti di ricerca, gli incubatori di impresa, i finanziatori pubblici.

Sia lavorando nel piccolo (non si chiama più garage, ma start'-up), che nel grande (non ci sono i Bell Labs, ma centri e dipartimenti), si riscontra una deriva dell’attenzione dalla bontà dell’idea alla strutturazione del processo.

Mi spiego: oggi, se hai una buona idea nel campo ICT, puoi far leva su Internet, su tool e librerie open source, su ambienti di sviluppo rapido, su emulatori, su app-store, su mashup e servizi web 2.0, … In pochi mesi puoi realizzare un primo prototipo e metterlo alla prova sul mercato: se funziona, potrà decollare, altrimenti non avrai perso troppo tempo né denaro.

Ma non chiedere aiuto a nessuno. Altrimenti dovrai cominciare a fare un budget, un business plan, un’analisi di mercato, una proposta di progetto, un piano di marketing, una ricerca brevettuale ed analisi dei competitor, una previsione di cash flow, un strutturazione in work package, gant, pertt, ecc. ecc.

Mi è successo più volte di incontrare dei giovani i quali, anziché lavorare per 3 mesi e realizzare la loro idea, lavorano invece per 6 mesi sul business plan (in assenza di una reale competenza per realizzarlo bene, e di dati affidabili da utilizzare).

Dopo 6 mesi, se l’idea era buona, qualcun altro l’avrà realizzata. Se non era buona, non lo saprai ancora, perché non avrai avuto modo di provarla, ed allora perderai ulteriore tempo ad implementare una schifezza, magari essendoti indebitato.

Mi sto convincendo che un modello più efficace di sostegno all’innovazione debba essere “lean and light”, snello e leggero. Mi racconti la tua idea in 2-3 ore. Se mi piace e mi convinci, ti finanzio 2-3 mesi di lavoro, 5.000 euro a fondo perduto. Se non mi convinci, amici come prima. Overhead amministrativo: zero. Rischio nell’investimento: basso. Ovviamente occorre investire in tecnici in grado di valutare bene le idee, impegnarsi ad evitare ogni buonismo (dicendo a tutti che l’idea sembra buona), evitare ogni sovrastruttura organizzativa che rallenti lo sviluppo di una prima “beta” lanciata sul mercato.

Insomma, lassez-faire !

Solo dopo, se vi sarà una prima risposta dal mercato, sarà ovviamente necessario re-impostare gli sviluppi futuri in una logica industriale-imprenditoriale. Solo dopo che se ne è appurata la potenzialità.

Mi sembra quasi troppo banale… in che cosa mi sbaglio?

mercoledì 19 ottobre 2011

Tempo di anniversari

In questi giorni si celebrano molti anniversari dell’informatica, tra cui i 30 anni dall’introduzione del primo IBM PC-XT, il capostipite del Personal Computer moderno.

Spectrum Machine Language for the Absolute BeginnerÈ con questo spirito di amarcord informatico che dalla cantina ho rispolverato questo cimelio (edito nel 1982, quindi vicino ai 30 anni anch’esso): il libro che mi ha accompagnato nell’apprendimento del mio secondo linguaggio Assembler, quello del processore Z80 prodotto da Zilog (che, caso rarissimo, esiste ancora e produce ancora microcontrollori basati su Z80, tuttora usatissimi).

Ricordo ancora lo stupore con cui avevo scoperto la “potentissima” istruzione LDIR (load, increase and repeat), capace di copiare un intero blocco di memoria con una sola istruzione assembler (analoga al REP MOVS dell’architettura x86). Roba che ti fa capire a cosa serve la microprogrammazione!

Il libro è di oltre 240 pagine, scritto in un font monospaced con figure disegnate a mano e listati fotografati, generati da una stampante ad aghi. Tanto per ricordare quanto era difficile scrivere un libro in quell’epoca. Non ricordo dove lo comprai, ma c’è ancora l’etichetta del prezzo: 5,95 sterline UK, rivenduto in Italia al cambio-strozzino di lire 22.500. Certamente l’importatore avrà venduto pochissimi volumi, il che giustifica il ricarico esagerato. E d’altra parte, 30 anni fa mica lo potevi comprare su Internet…

Questo mi spinge a tornare ancora più indietro nel tempo, al mio primo assembler, quello del processore 6502 (della MOS Technologies, ora non più sul mercato), montato sul mio “primo” Commodore Vic-20, e che per inciso era lo stesso processore usato dal ben più potente e famoso Apple II.

lunedì 10 ottobre 2011

Capacity planning?

È come sparare sulla Croce Rossa, era facilissimo prevedere che il sito dell’ISTAT per la compilazione del censimento della popolazione non avrebbe retto al “giorno della compilazione”, ieri 9 ottobre 2011.

Troppi sono gli esempi in tal senso, ogniqualvolta un ministero propone una procedura web, questa puntualmente si intasa il giorno della scadenza. Noi universitari ricordiamo il sito CINECA per il caricamento di progetti PRIN, le aziende ricordano l’invio di richieste di agevolazione (in cui conta il millisecondo del submit, e ci sono addirittura ditte che hanno sviluppato un software distribuito apposito…).

Nessuna sorpresa, quindi.

Trovo invece allucinante il tono dei comunicati pubblicati sul sito. Sulla home page compare questo:

9 ottobre 2011 - Moltissimi cittadini stanno compilando il questionario on line. Ciò potrebbe causare temporanei disservizi. Stiamo provvedendo, ci scusiamo per il disagio.

ed è accompagnato dal link ad un comunicato stampa (in PDF).

La news citata sopra è molto deludente. Cosa vuol dire “potrebbe”? È un fatto certo che molti utenti non riescono a compilarlo. In nazioni più civili, questo verrebbe quantificato in termini di ore-lavoro equivalenti perse, qui ce la caviamo con generiche scuse per il disagio.

Ancora peggio il comunicato stampa, che vale la pena di commentare riga per riga.

Dal comunicato…. Commenti….

9 ottobre 2011: al via il 15° Censimento della popolazione e delle abitazioni
Grande successo di adesioni alla compilazione del questionario via internet

Certo che è un grande successo, è ovvio, nel 2011 tutte le attività lavorative si svolgono con l’ausilio di Internet, perché gli utenti non dovrebbero preferirla anche in questo caso? Se vogliamo, aggiungiamo l’effetto novità, che spinge le persone a voler “provare” una modalità nuova.
Magari, a pensarci prima, si potevano spendere meno soldi in tipografia, no?

Nelle prime ore punte di  500.000 accessi in contemporanea

Effetto sperato: oooohhhhh!
Ma non c’è da stupirsi, in fondo si sapeva già prima quante sono le famiglie italiane, no? e che si sarebbero collegati proprio il 9 ottobre non era un segreto da custodire, era solo la scelta più ovvia.
Al che si aggiunge la disinformazione. Cosa vuol dire “accessi in contemporanea”? pagine al secondo? nuove sessioni al secondo? visitatori unici?

Sorprendente la partecipazione da parte dei cittadini alla compilazione online del questionario. Già dalle prime ore del mattino, sono stati, infatti, raggiunti picchi di 500.000 collegamenti  contemporanei al sito http://censimentopopolazione.istat.it/.

Sorprendente”? ma vivete sulla luna? E ricordo che 500.000 è solo pari all’1% scarso della popolazione italiana (diciamo il 2-3% del numero di famiglie). Ci sembra una percentuale “sorprendente” ed inattesa?
Adesso però parlano di “collegamenti contemporanei” anziché di “accessi”. Sarà la stessa cosa? Non si sa, perché non si curano di dircelo in modo non ambiguo.

Il grande afflusso di utenti ha creato di conseguenza rallentamenti e difficoltà di
accesso. Telecom - per conto di Istat – sta lavorando per aumentare la potenza
del sistema installato.

Ecco il “di conseguenza”. È lento e non funziona perché siete in troppi. La colpa è vostra. Non dovevate collegarvi.
Ancora una volta, gli utenti sono percepiti come un fastidio, e non un’opportunità.
Ho poi seri dubbi che Telecom (fornitore di infrastruttura) possa avere qualche ruolo nell’aumentare la potenza del sistema installato. Se è un problema di capacity planning, non lo risolvi aumentando la banda di accesso. È come risolvere i problemi di traffico di una città costruendo una corsia in più nelle vie di accesso… dove era congestionato, continuerà ad esserlo.
Bellissimo comunque il ricorso al termine “potenza”, mi evoca una quadriglia di buoi alle prese con un aratro…

Si ricorda, comunque che per compilare e restituire il questionario  online  - come pure nelle altre modalità previste (riconsegna agli uffici postali e ai centri comunali di raccolta) - c’è tempo fino alla fine dell’anno in corso.

E perché non l’avete detto prima? E perché la data di scadenza non è scritta sul modulo cartaceo (ma solo sulla lettera di accompagnamento, che nessuno legge)? E perché non è scritta sul sito web, neppure sulla pagina di inizio della compilazione, su cui tutti gli utenti si sono bloccati?

Veramente un concentrato di schifezze dal punto di vista tecnico (pagare per un sistema che non è chiaramente adeguato) e da quello della comunicazione (classico comunicato per calmare le mandrie, non per spiegare né scusarsi).

Ma ve lo immaginate Facebook oppure Google che dicono ai propri utenti di scollegarsi perché sono il troppi, e che il messaggio che volevano scrivere o la ricerca che volevano fare possono aspettare fino a domani?

giovedì 22 settembre 2011

The Orion Belt, Italy

Ho visto cose(1) che voi europei, che voi statunitensi, che voi dei paesi civilizzati non potete nemmeno immaginare.

Ho visto un ufficio postale aprire con 2 sportelli su 3 non operativi perché i PC non partivano; su quello che è partito non funzionava il POS. Ho visto gli impiegati postali iniziare a preoccuparsi dopo 20 minuti. Ho visto persone in coda, rassegnate, visto che anche l'erogatore di ticket per le prenotazioni non funzionava. Ho visto riavviare i PC come se fosse un rito propiziatorio. Ho visto telefonare al servizio di assistenza tecnica, che ha risposto che avrebbe prontamente informato il servizio di assistenza tecnica (nazionale). Ho visto impiegati telefonare all'amico che lavora per la ditta locale, che tanto sicuramente verrà chiamata dal servizio di assistenza tecnica nazionale, per anticipargli la chiamata e chiedere che un intervento immediato, in attesa che la comunicazione ufficiale arrivi.

Ho visto studenti che, alla fine della seconda settimana di scuola elementare, non hanno ancora tutti i libri di testo. Ho visto studenti per cui il non avere ancora i libri non è poi così grave, visto che mancano le maestre. Ho visto maestre arrivare dopo due settimane, sapendo che rimarranno solo per due mesi.

Ho visto l'università italiana prima in classifica che, ad una settimana dell'inizio del semestre, non aveva ancora pubblicato gli orari delle lezioni.

Ho visto un tecnico perdere 3 ore per cambiare un pezzo da 10 euro ad un portoncino blindato. Ho visto che alla fine non l'ha riparato perché il pezzo era difettoso alla fonte. Ed ho visto perché le aziende italiane, credendo di risparmiare sulla qualità, in realtà ci perdono sul personale e sul mercato.

Ho visto pendolari lottare per avere dei treni, piuttosto che compagnie ferroviarie lottare per avere dei clienti fedeli come solo i pendolari possono essere.

Mi sono visto attirare da un libro su uno scaffale, che prometteva di svelare i trucchi per non essere ingannati dal marketing. E quel libro, e quello scaffale, erano parte stessa del marketing. E mi sono visto acquistare quel libro e portarlo a casa.

Ho visto colleghi che ricevono ottime offerte di lavoro dall'estero, senza conoscenze e senza inviare curriculum, grazie ai propri titoli e pubblicazioni. Ho visto gli stessi colleghi essere rifiutati e bistrattati nei concorsi nazionali per un posto alla metà dello stipendio.

Ho visto l'IVA aumentare dell'1% ed i prezzi arrotondarsi all'euro superiore. Ho sentito che questo dovrebbe aumentare i consumi e ridurre l'evasione fiscale.

Ho visto avvisi sui diari scolastici dei figli, in cui si chiede di portare a scuola le cose più strane ed improbabili. Gli oggetti sono sempre diversi, ma la postilla è sempre "possibilmente per domani". Ed ho visto genitori sclerare per partecipare alla caccia al tesoro a tempo.

Ho visto offerte di lavoro per lavori anonimi, sostituibili e noiosi ma ben retribuiti. Ho visto offerte molto minori, alla stessa persona, per lavori innovativi, insostituibili ed interessanti. Ed ho percepito confusione e indecisione.

Ho visto una società di rating dire a proposito delle prospettive di sviluppo di una nazione ciò che ormai tutti sanno da anni. Ho visto persone agitarsi perché le società di rating iniziano a dire ciò che tutti sanno da anni.

Ho visto tutto solo nell'ultima settimana. Direi che ho visto troppo.

(1) Eterna riconoscenza a Philip K. Dick per il meme "ho visto cose" (I've seen things), tratto dal romanzo Do Androids Dream of Electric Sheep?

[P.S. prima che qualcuno dubiti: tutti fatti vissuti realmente in prima persona]

domenica 18 settembre 2011

Sempre per problemi tecnici…

Sempre alla ricerca di nuovi metodi per spillarci soldi facilitare i pagamenti aumentando la sicurezza, nei supermercati Coop è da poco iniziata la promozione di una carta denominata “Ri-Money” (tanto per non sbagliare, scritta anche ri_MONEY oppure ri-money, sempre sul sito e-Coop).

Non è certo una novità, è una normalissima carta prepagata legata al circuito Visa Electron, colorata con il branding Coop e con qualche agevolazione per i soci Coop.

Io continuo ad avere disgusto per tutte le iniziative prepagate, in quanto se ti dò dei soldi in anticipo, mi aspetto almeno uno sconto, e non un costo di ricarica o di abbonamento. Ma non divaghiamo.

La cosa interessante invece è che, dopo pochi giorni dall’inizio della promozione, la vendita della stessa carta è stata sospesa a data da destinarsi, per non meglio precisati “problemi tecnici”. Vedasi volantino.

Comunicazione Importante: si comunica che a causa di problemi tecnici verrà momentaneamente sospesa la vendita delle carte Ri-Money

E ci risiamo. Ricordiamo il recente caos alle Poste Italiane a causa di una migrazione ad un nuovo sistema informativo, oppure inspiegabili blocchi dei treni regionali, delle metropolitane, degli svincoli autostradali, …

È sufficiente una rapida ricerca su Google News per notare quanti disservizi siano sbrigativamente liquidati come problemi tecnici. Sarà che gli utenti sono stati abituati al “prova a riavviare”, ma io non ci sto.

I problemi tecnici non si generano da soli, non sono creati da interferenze cosmiche. I problemi tecnici sono dovuti ad errori di progettazione, mancata manutenzione, oppure scelte economico-progettuali che hanno portato a prodotti che al loro interno contengono criticità.

Smettiamola di nasconderci dietro misere scuse e giustificazioni che non sarebbero accettate neppure alla scuola materna, e proviamo qualche volta a costruire dei sistemi e dei prodotti che funzionino bene. Ed esserne fieri. Una volta era questa la definizione che si attribuivano gli ingegneri.

lunedì 12 settembre 2011

La Metro a Porta Susa

Molto è stato scritto sull’apertura della stazione della metropolitana torinese a Porta Susa, dagli articoli ufficiali incensatori, alle contestazioni in merito alle autorità presenti.

In effetti l’architettura della nuova stazione è decisamente piacevole (superando il disagio dovuto al fatto di vederla praticamente vuota), e sa molto di uno di quegli esperimenti sulle biosfere indipendenti, con la sua cupola a vetri. Cupola che, immagino, sarà un delirio dal punto di vista energetico: effetto serra d’estate, con conseguente effetto di moltiplicazione dell’afa, e parete frigo d’inverno, in cui se va bene si riesce a pareggiare la temperatura esterna. O spenderanno ingenti quantità di energia per raffrescare e riscaldare, oppure è l’ennesima occasione persa nella costruzione di edifici energeticamente efficienti… e pensare che costruendo ex-novo non sarebbe così difficile.

Ma intendo parlare di un aspetto che mi tormenta maggiormente: la comunicazione. Tutti ormai sanno che la segnaletica interna era carente e fuorviante, tanto da causare smarrimento dei viaggiatori occasionali (testimoniabile quotidianamente), diverse lamentele su Specchio dei Tempi, nonché addirittura sopralluoghi dell’assessore Bonino.

Con l’apertura del collegamento Stazione FS – Stazione Metro, ovviamente, la cartellonistica interna è stata modificata. Devo dire che, rispetto alla versione precedente, la segnaletica attuale è decisamente più chiara, e vi è un maggiore numero di cartelli.

Cartello Metro a sinistraCartello Stazione a destra

Cartello Stazione avantiCartello Stazione torna indietro

Finalmente risulta chiaro che per andare verso la Metro devi uscire dal sovrappassaggio A, mentre per tutto il resto dal D. Sono anche scomparse le frasi in burocratese. Addirittura le lettere A e D sono blu su sfondo bianco rotondo, che magicamente coincide con la stessa simbologia utilizzata nei sovrappassaggi stessi. Quale miracolo di coerenza….!

L’unico aspetto incerto sono i rettangoli di colore arancione che fanno da sfondo al cartello. A prima vista sembra uno cerca di correlarli con le scritte soprastanti, ma non ha senso. Allora si convince che hanno il semplice ruolo di sfondo (o wallpaper). Solo che non si capisce che cosa siano. Solo chi ha un forte allenamento può riconoscere (forse… non lo so…) la schematizzazione della struttura (in profilo, credo) della nuova stazione. Mah, è talmente poco chiaro, poco informativo, e tutto sommato inutile, che potevano francamente evitarlo. Ed avrebbero anche evitato l’impressione di avere ri-utilizzato dei cartelli esistenti, cancellando malamente un disegno precedente…

domenica 11 settembre 2011

Bancomat esplosivo?

Bancomat

Una normalissima giornata in cui ti fermi al primo Bancomat disponibile per prendere un po’ di contante (chissà perché finisce sempre così in fretta).

Il mio è un conto on-line e, non disponendo di sportelli fisici, la banca non fa pagare le commissioni per il prelievo da qualsiasi bancomat di qualsiasi banca, ragion per cui mi fermo spesso al primo che capita, senza farci molta attenzione.

È la prima volta però che mi imbatto in un avvertimento minacciosissimo. Lo si vede nella parte superiore della foto, sopra al display. Per comodità ecco un’immagine ingrandita…

Non introdurre gas

Ma certo, ingenuo io a non averci mai pensato, nei bancomat normalmente si cerca di introdurre gas. Quale gas, non importa, vanno bene tutti. Meglio se provi con la bombola da 20 litri intera. A patto di trovare una fessura adeguata.

Ma invece, se lo introduci, che cosa succede? Si ubriaca di gas esilarante e ti dà tutti i soldi? Si arrabbia fino all’incandescenza ed esplode? Si alleggerisce troppo e l’intera banca si solleva come la casa di UP?

venerdì 2 settembre 2011

Esiste ancora!

After EightAl solo pronunciare il nome suscitano un misto di acquolina e di nostalgia. Soprattutto perché saranno 20 anni che non ne incontravo più uno (in Italia pare siano distribuiti da Nestlé –purtroppo–, ma non particolarmente pubblicizzati né presenti in molti punti vendita).
Qualcuno avrà forse riconosciuto il logo riportato nella figura: si tratta dei mitici e storici After Eight, la cui ricetta quasi-invariata risale agli anni ’60, e che ho piacevolmente riscoperto in un recente viaggio in UK.
Ricordarsi di cercarne una confezione, alla prossima spesa! Buona acquolina a tutti…

mercoledì 31 agosto 2011

Proibizionismo Wi-Fi

Certo che l’Italia non è famosa per essere la patria del Wi-Fi libero e gratuito ovunque (nelle biblioteche, librerie, bar, coffee shop, …) come altre nazioni più civilizzate.

Però l’accesso ad Internet offerto dal campeggio toscano nel quale ho passato una settimana di vacanza mi ha veramente terrorizzato. Tariffe allucinanti. Condizioni capestro. Obbligo di essere maggiorenni. Ma sto affittando un accesso Internet oppure un superalcolico? o un mitragliatore da guerra?

L’unica cosa che mi consola è che gli stranieri (ed il campeggio ne era pieno) avranno qualche storiella denigrante in più su noi italiani, quando torneranno in patria.

Wi Fi Codes Tariff (1 hour, 3 euro; 5 hours, 10 euro; 10 hours, 15 euro; 20 hours, 20 euro). To buy the code you must be 18!! And you have to show us an ID!!

lunedì 29 agosto 2011

L’impostazione di default

Tutto dipende dalle impostazioni di base: le persone si aspettano, per ogni oggetto, prodotto o servizio, alcune modalità di funzionamento “di default”, e per esse non hanno bisogno di istruzioni o indicazioni. Se la modalità di funzionamento non è quella di base, allora è necessario spiegarla.

Asciugatore a getto di aria calda con scritta "funziona" aggiunta a mano

È probabilmente ciò che ha pensato chi ha (giustamente) apposto il cartello “funziona” sull’asciugatore (scovato in un bagno del mio Dipartimento). Visto che ci si aspetta che nulla funzioni (l’impostazione di default), allora quando qualcosa, eccezionalmente, funziona, occorre specificarlo. Geniale.

giovedì 28 luglio 2011

Ripetere a piacere

Ci sono cose che impariamo da piccoli. Se chiami qualcuno e non risponde, prova a ri-chiamarlo. Se suoni un campanello e nessuno risponde, riprovi a suonarlo dopo poco.

Ci sono invece culture in cui questo non viene insegnato. Come in UK, dove si dà per scontato che una richiesta, una volta fatta, venga esaudita. Oggigiorno non è più così, ma la concezione della civiltà anglo-standard non è ancora mutata.

Per cui, meglio scriverlo. Mi vedo già l’inglese stereotipato (che non esiste) seguire alla lettera le istruzioni, e continuare a premere il pulsante per 8 giorni di fila, se nessuno risponde.

Emergency telephone. Press alarm button for 3 seconds. If unobtainable press again

mercoledì 27 luglio 2011

Scegli il tuo simbolo

Ci ero passato molte volte, apprezzando il concetto, questa volta ho anche scattato una foto. Parlo di questo cartello visibile all’aeroporto di Monaco:

Meditation and Prayer Room (with 5 different religion symbols)

Ovviamente in un luogo pubblico (come un aeroporto, specie se internazionale) non puoi sapere chi arriverà e quali saranno le sue credenze religione.

Ed allora, se fai una cappella, predisponila per tutte le religioni possibili (almeno quelle principali). Semplice, no? E rivoluzionario allo stesso tempo.

Si chiama “integrazione”, basta cercarla sul vocabolario. Invece da noi stiamo ancora a litigare sul crocifisso appeso nelle scuole (ovviamente per secondi fini).

mercoledì 20 luglio 2011

Lama d’Acqua e Alabarda Spaziale

Nelle ultime settimane, nella nuova stazione di Torino Porta Susa, sempre ricca di imprevisti e novità (perché non l’avevano pensata bene fin dall’inizio), sono comparsi degli strani cartelli:

Lama d'acqua - Attraversare in caso d'incendio

Non saprei dire se sia più esilarante o più inquietante. Però non ho potuto fare a meno di vedermi Goldrake che, in caso di incendio, entra in stazione volando ed attivando la sua nuova arma, la lama d’acqua.

A parte gli scherzi, la lama d’acqua (o water curtain) è un getto ottenuto con particolari ugelli, che tendono a creare un flusso d’acqua continuo (come una tenda o una parete), che può avere lo scopo di isolare un incendio o comunque di avere un effetto di raffreddamento su un locale. Quando ti sei dimenticato, nel progetto, di inserire delle porte tagliafuoco…

giovedì 14 luglio 2011

Confronti tra liquidi

Onestamente, fatico a spiegarmi come mai tutti (a partire dai mezzi di informazione) si scaglino contro il prezzo della benzina arrivato a 1,60 €/l, mentre non vi sia un’analoga onda di sdegno per le bottiglie di acqua da mezzo litro vendute a 1,00 €, 1,50 € o talvolta anche 2,00 € (con prezzi al litro quindi pari a 2,00 €/l, 3,00 €/l o 4,00 €/l), tenendo conto anche che sull’acqua non vi sono le forti tasse e accise che invece gravano sugli idrocarburi.

Sono prezzi normalmente visti nei bar, ad anche nei distributori automatici in stazioni ed aeroporti. E non mi si dica che il costo di produzione e distribuzione, o il servizio offerto, siano superiori… Direi invece che nella catena del valore deve esserci qualche anello d’oro massiccio, se non di platino… Vogliamo smettere di foraggiarlo?

mercoledì 13 luglio 2011

Ricordate Y2K?

Tutti i problemi legati alla transizione dal 1999 all’anno 2000 ormai sono memoria del passato: tutti gli sviluppatori software hanno rivisto e corretto le vecchie applicazioni, e non faranno mai più gli errori del passato (ossia rappresentare le date con due sole cifre anziché con l’intero anno).

Beh, non proprio tutti…

y2k

giovedì 7 luglio 2011

Dieci e allocco

Gli spot pubblicitari con Claudio Bisio sono sempre divertenti, indipendentemente dalla vacuità del prodotto che viene reclamizzato. Ultimamente si sta dedicando al “gioco” (sarebbe meglio chiamarlo “beneficenza volontaria a favore dello stato”) del Dieci e Lotto.

In uno degli spot, si vede un giapponese che scommette. Per inciso, chissà perché la parte dell’imbecille spetta sempre ad un giapponese? sarà semplice razzismo, sarà la nostra ignoranza culturale, o più semplicemente una vendetta mediatica per il nostro giustificato senso di inferiorità rispetto al popolo ed alla cultura del sol levante?

Ma torniamo allo spot: il giapponese punta su tre numeri: 1, 2, 3, e per questo viene deriso. Poi punta su altri numeri: 4, 5, 6. Qui sta la (presunta) ilarità dello spot: nell’assurdità dei numeri puntati.

E qui sta la totale ignoranza matematico-scientifica degli italiani.

I numeri 1, 2, 3 hanno le stesse probabilità di “uscire” rispetto a qualsiasi altra terna di numeri (siano le misure 90, 60, 89, che la data di nascita del nipotino 23, 3, 11, che i numeri cabalisticamente sognati grazie all’apparizione onirica del trisavolo mai conosciuto). Le stesse probabilità. Identiche. Uguali. Equivalenti. Intercambiabili. Indistinguibili.

Se vi chiedessero di giocare i numeri 1, 2, 3, probabilmente non lo fareste, perché “intuitivamente” (ma è un inganno logico) è “impossibile” che escano. Nessuno giocherebbe più perché sarebbe sicuro di non vincere. Orbene, ogni volta che qualcuno gioca una qualsiasi terzina, di fatto sta puntando su una scommessa equivalente ad 1, 2, 3. E’ altrettanto “impossibile” vincere.

Mi chiedo se gli autori dello spot ne fossero a conoscenza, e non so quale ipotesi mi spaventi di più: che a tutti i livelli sia così diffusa l’ignoranza nel calcolo delle probabilità, o che la comunicazione commerciale sistematicamente e scientificamente contribuisca ad iniettare nelle nostre menti dei concetti errati, al fine di indurci a spendere il più possibile ed a ragionare il meno possibile.

mercoledì 6 luglio 2011

Accessibilità, nei dettagli

Foto del bancone della receptionSempre a proposito di civiltà nordica e di accessibilità, un rapido foto-quiz: che cos’è l’oggetto di plastica nera che sporge dal bancone della reception di un albergo?

Se fossimo qui da noi, sarebbe probabilmente una rottura del pannello che nessuno si è curato di riparare. Oppure il supporto per qualche tipo di cartellone o pannello informativo, che rimane lì per decenni dopo che ha esaurito la sua funzione, solo perché non è compito specifico di alcuno rimuoverlo.

Invece no, perché siamo in un paese civile, dove ageing society non è solo una parola chiave per etichettare velleitarie iniziative autoreferenziali, ma effettivamente inizia ad essere considerato un problema da affrontare concretamente.

Ed ecco la risposta al foto-quiz: si tratta di un supporto per appoggiare/agganciare il bastone da passeggio, da utilizzare durante l’attesa alla reception.

Spendi pochi euro. Metti a suo agio l’utente. Velocizzi le operazioni perché il cliente ha le mani libere. Davvero geniale.

This is a walking stick holder that takes care of your walking stick while you're standing in reception

martedì 5 luglio 2011

Sglobalizzazione

…ossia Globalizzazione al contrario.

Solitamente pensando alla globalizzazione si pensa a prodotti prodotti dalla parte opposta del pianeta, con manodopera sottopagata, e che arrivano sui nostri mercati a fare concorrenza ai prodotti locali per via del prezzo competitivo.

Sale grosso proveniente dalla Bretagna o dall'HimalayaMa esiste anche il contrario, come ho tristemente scoperto. Trattasi di prodotti provenienti sì dall’altro lato del pianeta, ma offerti a prezzi esorbitanti (e secondo il dogma consumistico, totalmente inutili).

In un normale supermercato ho trovato delle confezioni di sale grosso provenienti da diverse parti del mondo, ad esempio dall’Himalaya.

A parte il fatto che il sale è semplice cloruro di sodio (NaCl, magari addizionato di iodio, come è richiesto dalle nostre parti) e non vedo la necessità di farlo viaggiare per 20.000 km. A parte il fatto che “sapore autentico” (sull’etichetta) non vuol dire nulla (perché, l’Himalaya ha un sapore?).

Ma ciò che più sconvolge è l’etichetta con il prezzo:

Prezzo: € 5,29. Prezzo al Kg: € 76,67

Non fermiamoci a guardare il prezzo totale di oltre 5 euro, ma aguzziamo la vista per leggere il prezzo al kilogrammo: questo sale (in confezione da 69 grammi… per la precisione!) costa 76,67 euro al kg. Settantasei euro al chilo.

Ma siamo pazzi? (la risposta viene da sé…)

lunedì 13 giugno 2011

Perché l’Italia non è in Europa

O forse lo è, quantomeno geograficamente, economicamente e forse un po’ politicamente. Ma non lo è di certo culturalmente e organizzativamente.

A dire il vero lo sapevo, ma non avendo più viaggiato molto, di recente, me ne ero dimenticato, e mi ero assuefatto al quieto incazzarsi-per-finta e non-far-nulla-sul-serio delle nostre italiche abitudini.

Non sono ancora passate 2 ore da quando sono arrivato in Danimarca, e già ho ricevuto una decina di forti schiaffi morali nel vedere come le cose, dove si vuole, si possono fare funzionare. Ovviamente per capirlo devi provare a muoverti come I locali: da un taxi con aria condizionata le nazioni e le città sono tutte uguali, mentre nei trasporti pubblici e nei bar delle cittadine secondarie respiri realmente l’umore delle persone e l’organizzazione dei servizi.

Qualche esempio?

  • Tutte le macchinette emettitrici di biglietti, per Metro e per i treni locali, accettano tranquillamente contanti, carte di credito, bancomat, anche esteri. L’interfaccia è semplice ed è tradotta in più lingue (inglese e tedesco, oltre al danese, ci sono sempre; talvolta anche altre lingue). E funzionano. Al primo colpo.
  • Se per caso tentenni per più di 30 secondi alla macchinetta venditrice della stazione Metro all’aeroporto, ti si avvicina una simpatica vecchietta che, in inglese, ti aiuta a scegliere il biglietto e pagarlo.
  • Nascosto nella frase precedente: all’aeroporto (dentro lo stesso, senza uscire) c’è la fermata della metropolitana. Che con meno di 5 euro ti porta in centro in 15 minuti. Come deve essere.
  • La metropolitana è identica a quella di Torino. Solo che qui ce l’hanno da 10 anni ed è estesa su 3 linee.
  • In tutti gli incroci regolati da semaforo (tutti!), esiste un avvisatore acustico per i non vedenti (con suoni diversi per il “rosso” ed il “verde”). E’ talmente comodo che dopo un po’ ci fai l’abitudine, e mentre passeggi non devi neppure fare attenzione ai semafori: sono i semafori che fanno attenzione a te, avvisandoti quando sono rossi.
  • Le auto si fermano sulle strisce pedonali. Al punto che un tizio mi ha guardato male perché ero fermo sul marciapiede mentre scrivevo un SMS, ma di fronte alle strisce: lui si è fermato nonostante io non stessi mostrando l’intenzione di attraversare, e mi ha regalato uno sguardo del tipo “ma se non vuoi attraversare allora perché di fermi davanti alle strisce?”
  • Il cestino dell’immondizia nella camera d’albergo è diviso in 3, perché è predisposto per la raccolta differenziata (organico, carta, altro)

Ci sarebbero altri esempi, ma per non deprimermi troppo dopo le prime due ore ho smesso di prendere mentalmente nota di tante piccole cose che si potrebbero fare anche da noi, perché la qualità (anche di vita) è fatta di piccole cose. E so che domani, al rientro a casa, dovrò fari violenza per ricominciare a tollerare the italian way.

 

P.S. rileggendo il post prima di salvarlo, mi sono accorto di non avere risposto alla domanda posta nel titolo: “Perché?”. Continuo a non riuscire a darne una risposta…

martedì 7 giugno 2011

Come in via Roma

Macchine distributrici sul marciapiede di stazioneEd in effetti la stazione di Chivasso (come la maggior parte delle stazioni in Italia) è posta al termine di una via Roma.

Sarà per questo che i prezzi applicati dalle macchine distributrici di bevande da poco poste ad ingombrare i marciapiedi di stazione sarebbero più adeguati ad un bar di via Roma (quella dei negozi del centro di Torino) che non ad un binario di stazione provinciale.

Infatti ecco alcuni dei prezzi:

  • acqua naturale, 1/2 litro: € 1,00 (al Politecnico costa € 0,30 – rincaro del 233% rispetto ad un prodotto identico, venduto in un luogo con passaggio di persone di entità confrontabile)
  • caffé € 0,60 (al Politecnico € 0,30 – rincaro del 100%)
  • cappuccino € 0,80 (al Politecnico € 0,30 – rincaro del 166%).

Ma vuoi mettere l’ambiente esclusivo e raffinato offerto dai sudici binari?

Bottigliette d'acqua in vendita a € 1,00

Prezzi delle bevande: caffé € 0,60, altre bevande € 0,80

lunedì 6 giugno 2011

Ma ci vuole un bel coraggio…

…a farsi vedere in giro, dopo le notizie delle ultime settimane. Ma forse è solo una infelice scelta dei tempi. E dei temi.

Ecco il manifesto visto oggi a Caluso:

Foto0038

Forse manca il sottotitolo della presentazione. Potrei suggerire: «Tagli e Corruzione».

sabato 4 giugno 2011

Dove affondano certe radici

Di tanto in tanto, affiorano alla mente certi ricordi di infanzia, sui quali riflettere alla luce dei decenni di vita che sono seguiti.

Affondare, affiorare … sono verbi che hanno a che fare con l’acqua. E non deve essere un caso.

Siamo a circa 40 anni fa, nell’asilo del mio paesino natale. Periodo di cui ho pochissimi ricordi, e l’unico che abbia una certa forza è quello che vi racconto ora.

Quel giorno all’asilo hanno raccontato la fiaba del macinino magico, che spiegava come un macinino fosse caduto in fondo al mare e, poiché gli era stato ordinato di macinare sale, lo ha fatto per gli anni a venire, e lo fa ancora adesso. Per questo motivo il mare è salato!

Già a quei tempi dovevo avere qualche inclinazione scientifica (o quantomeno qualche repulsione per le spiegazioni magiche o irrazionali), perché ricordo che chiesi alla suora che stava leggendo «ma come fa il sale a non finire mai?». Non ricordo la risposta che mi diede, ricordo solo che lo fece in tono scocciato (in fondo avevo rovinato la magia del finale della favola…), e che in quella giornata mi appioppò (senz’altre spiegazioni) la peggior punizione prevista: fare il pisolino pomeridiano, sotto sorveglianza da parte di una bambina più grande (si chiamava Laura).

A rileggere, oggi, quella favola, in realtà si capisce che la morale è sulle linee del “chi troppo vuole nulla stringe”, ed è anche una bella favola. Ma certamente da bambino non avevo colto quella sfumatura. Era solo rimasta impressa l’assurdità di un racconto, e l’indisponibilità a fornire la spiegazione reale di un fenomeno semplice ed evidente.

Da quel giorno non ho ancora smesso di polemizzare con varie tipologie di cialtroni che costruiscono il proprio successo approfittano dell’ingenuità o della credulità altrui. E di spingere coloro che incontro ad applicare ed affinare il dono della ragione.

giovedì 26 maggio 2011

Qualcuno ci salvi dal marketing in stazione!

Sono nella stazione FS (pardon, RFI) di Chivasso, per il solito cambio treno in coincidenza. Coincidenza che ovviamente è saltata, per un ritardo di oltre 15 minuti accumulato dal locale proveniente da Ivrea. Ma non è questa la notizia.

Ho appena scoperto che la stazione è stata dotata di due novità, di cui avrei fatto volentieri a meno:

  1. distributori automatici di bevande e panini, tutti rigorosamente con prezzi gonfiati, posti sui marciapiedi dei binari
  2. diffusione audio, a volume sparato e fastidioso, dell’inutile “radio FS”, che crea un sottofondo di indottrinamento veramente odioso sulla bontà e beltà delle offerte FS.

In compenso, le macchine obliteratrici continuano ad essere assenti dai binari, i pannelli informativi sono fuori uso (Visualizzano: Avaria sistema), i passeggeri (pardon, clienti) devono continuare a fare gimkane per accedere al binario 6, …

Certamente il marketing costa meno e rende di più rispetto alla qualità dei servizi. O no?

martedì 17 maggio 2011

Binario 6: la trama per un b-movie

Continuano le quotidiane scene di ordinario attrito riguardo al famigerato binario 6 della stazione di Chivasso, sulla cui collocazione logistica, creata ad arte nel modo più scomodo e disagevole per l’utenza, ho già scritto.

In questi giorni ho potuto apprezzare le varie forme di questa guerra tra sfigati (viaggiatori da un lato, macchinisti e capotreni dall’altro):

  • viaggiatori che, talvolta a rischio della propria vita, decidono di attraversare i binari dove invece ciò non è permesso
  • capotreno che litiga con i viaggiatori, minacciando di lasciarli a piedi e lamentando che stanno facendo ritardare la partenza (…trascurando il fatto che devono fare 800 metri anziché 40 metri per il cambio di binario), con tanto di dialogo del tipo «ma che ha da fischiare?» «si sbrighi se no la lascio a piedi» «ma che razza di coincidenza è questa?» «se non le sta bene, chiamo Roma e le faccio parlare con i responsabili»…. surreale…
  • passeggeri che dottamente disquisiscono sul fatto che sia più opportuno per il treno fermarsi un po’ più avanti o un po’ più indietro (pur sapendo che delle loro opinioni nessuno mai si occuperà)
  • turisti stranieri che, per andare da Torino ad Aosta, rimbalzano più o meno casualmente tra i binari 4, 5, 6, non capendo mai quale treno prendere, ma sicuramente percorrendo chilometri a piedi tra il disinteresse del personale di stazione.

Quasi quasi ne esce una sit-com di serie B…

domenica 15 maggio 2011

Le fonti dell’ignoranza

Ho da poco letto il libro “Togliamo il disturbo” di Paola Mastrocola, che esordisce lamentando (e cercando di analizzarne le cause) il fatto che nei primi anni del liceo gli studenti non conoscano le elementari regole di ortografia e grammatica.

È un libro leggero (nella lettura) e profondo (nelle riflessioni), sul quale ho opinioni molto contrastanti: mi ritrovo moltissimo in alcuni passaggi, mentre sono totalmente in disaccordo con altri. Forse troverò prossimamente il tempo di scrivere a tale proposito, ma non è l’argomento di oggi.

Division by zero!Oggi ho invece capito uno dei motivi per cui all’università abbiamo così tanti problemi sulle materie di base (le nozioni base di algebra e logica sembrano quasi inesistenti), e forse per cui tanti studenti nel loro percorso di studi perdono la passione per le materie scientifiche.

Visionando un quaderno di quarta elementare, ho trovato delle correzioni della maestra di matematica che indicava che 6:0=0 e che 21:0=0. E dulcis in fundo, 0:0=0. Il tutto seminando dubbi nei bambini che (1) non capivano perché il risultato dovesse essere zero, poiché contraddiceva ciò che avevano imparato e (2) non capivano perché sul libro ci fosse invece (correttamente) scritto che l’operazione era impossibile o indeterminata.

Ogni studente che sviluppa l’amore e la passione per la matematica e per le materie scientifiche è un piccolo miracolo, visto ciò che riceve dal sistema scolastico. E perdonatemi l’apparente qualunquismo, ma in realtà è amarezza.

giovedì 12 maggio 2011

Quantilità o qualintità? (parte 3)

Eccoci alla parte finale del ragionamento, che prosegue dall’ultima puntata.
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Principali spostamenti: a parità di quantità, qualità o costo
Partendo dal grafico precedente, che cosa fanno i nostri manager illuminati? Se siamo fortunati cercano di muoversi a costo zero (=C), o meglio ancora verso la riduzione dei costi (un po’ in discesa), cercando contemporaneamente di aumentare il più possibile la quantità.
Il tutto erodendo, poco a poco, poco a poco, poco a poco il livello di qualità del servizio.
Infatti si osserva in giro la tendenza a ridurre i costi: per spostarsi da una curva di livello ad un altra, è più breve il “passo” in verticale verso il basso (lieve calo di qualità a parità di quantità) piuttosto che un passo in orizzontale verso sinistra (significativo calo di quantità a parità di qualità). E questo giustifica le tendenze attuali: la qualità del servizio viene via via ridotta (poco per volta, in modo non traumatico), i costi vengono via via ridotti o al più mantenuti, la quantità rimane costante o più spesso tende ad aumentare.
Decisione razionale e ponderata, è il meglio che possiamo fare per fare crescere la nostra attività, vero?
Purtroppo manca una variabile in questa analisi: l’utente, il cliente, il destinatario…! Al quale non interessa affatto la quantità (in fondo, lui è uno solo…), ma solamente la qualità (che una volta chiamavano anche “soddisfazione del cliente”, locuzione attualmente svuotata di significato dalle pratiche commerciali ).
I risultati sono sotto gli occhi di tutti:
  • lezioni scolastiche o universitarie contabilizzate ad ore, senza mai verificarne la qualità;
  • valanghe di pubblicazioni scientifiche su riviste di scarso valore;
  • aumento della densità di persone sui mezzi pubblici riducendone via via il comfort e la sicurezza;
  • esplosione spropositata di telefonate commerciali per vendere servizi che non interessano a nessuno perché economicamente poco interessanti;
  • l’aumento dei megapixel nelle macchine fotografiche che continuano ad avere ottiche e sensori da quattro soldi;
  • numero di volte che si controlla la mail, facebook, gli RSS, senza trovare nulla di veramente interessante;
  • … chissà quanti altri esempi ciascuno di noi riesce a riscontrare nella propria esperienza ed a ricondurre a questo semplice principio:
[Nota tecnica: si ringrazia l’ottimo Wolfram Alpha per i grafici.]

mercoledì 11 maggio 2011

New (secret!) features for Microsoft Skype

Windows Live Friends CallerThe recent announcement that Microsoft is going to buy Skype is highly discussed at every level (financial, marketing, economic, technical, …). I won’t contribute to those discussions, but I feel urged to share some highly confidential information I gathered from insiders who shall remain anonymous (*).

The joint Microsoft+Skype marketing teams have already agreed on a new revolutionary set of features to release after the acquisition is completed.

  • the Skype product will be renamed Windows Live Friend Caller and will be free for personal use, only. The paid version will be called Windows Live Business Caller. Rumors say that a whole family of products (Small Business Caller, Student Caller, Mama Caller, …) is in development.
  • Skype (pardon, Windows Live Friend Caller, aka WLFC) will be included in the Windows Genuine Advantage. If you don’t have a genuine copy of windows, WGA will restrict WLFC to local calls, only. “Local” actually means “in the same building”.
  • Windows Live Friend Caller and Windows Genuine Advantage will team up in the “Proactive Fidelization” program: whenever WGA finds non-licensed or non'-genuine software on your computer, the cost of the license of that software are automatically deducted (for user’s convenience!) from your WLFC credit. Upon reaching the cost of the software, you will receive a chat message containing a legal activation key for your software.
  • Your Skype ID and your MSN (pardon, Windows Live Messenger) ID will be merged. The lucky users that had both accounts, will be offered a special service: you may call yourself for just 0.09 $/min (this special service will be called Windows Live Caller Introspection).
  • Skype for Linux will be discontinued. It never worked well and was years back, feature-wise, so it’s not a big loss. Users calling from (now discontinued) versions of Skype for Linux will be connected to a pre-recorded message kindly suggesting they migrate to Windows.
  • The WLFC service will be started automatically at Windows startup, and will exploit all your available bandwidth to serve as a proxy node and deliver other people’s voice traffic. If you try to disable or block this behavior, the loss of traffic will be automatically debited to your account.
  • Following the success of Internet Explorer, that sends data back to Microsoft to improve Bing’s search results, the new WLFC will send back your calling data, and thanks to language recognition, also the contents of your discussion. In the future, while navigating the Internet, WLFC may suggest friends to call related to the topic you’re reading. Also, Bing will automatically search for contents related to your current conversation. Be careful with what you’re saying, everything you say will be used against for you.

Should I receive further breakthroughs from my fictitianonymous source, I’ll promptly follow-up.

(*) For brevity, call it a fake

Quantilità o qualintità? (parte 2)

 

Nel post precedente abbiamo analizzato le curve del costo in funzione della qualità ed in funzione della quantità, e ci siamo fermati chiedendoci che cosa farà un essere razionale che vuole eseguire l’attività A, e vuole ottimizzare i costi.

Basta guardare il grafico combinato dei due fattori precedenti, dove si vedono le combinazioni (q, Q) a parità di costo (ciascuna linea di livello, rappresentata da un colore, identifica un certo valore del costo).

quantita-qualita

Linee di livello a parità di costo
per diverse combinazioni di quantità q e qualità Q

Ovviamente, per servizi già avviati, ci interessa la parte in alto a destra del grafico (quantità già significativa, qualità tendenzialmente alta), che riporto qui sotto.

quantita-qualita-top

Zoom del grafico precedente,
nella zona ad alta quantità (q>60) ed alta qualità (Q>70%)

Quali sono i principali spostamenti su questa mappa qualità/quantità/costi?

  1. Spostamenti a parità di costo (indicati con la freccia =C, che corre parallela alle curve di livello).
    In questo caso ci spostiamo su una curva di livello (quasi orizzontale…): a parità di costi (ossia a “costo zero”) posso aumentare anche di molto la quantità, con delle “piccole” riduzioni di qualità. Sembra quindi sensato fare evolvere un servizio nella direzione della maggiore quantità q, sacrificando un pochino la qualità Q.
  2. Spostamenti a parità di qualità (indicati con la freccia +q, che punta a destra in orizzontale, aumentando la quantità senza variare la qualità).
    Questo caso è quasi identico al precedente (infatti le frecce =C e +q sono quasi parallele). Confermiamo che un aumento della quantità ha un costo molto limitato (anche se ora non è nullo in quanto stiamo cercando di mantenere lo stesso livello di qualità).
  3. Spostamenti a parità di quantità (indicati con la freccia +Q, che sale in verticale, aumentando la qualità senza variare la quantità).
    Questo caso è radicalmente diverso: anche piccoli incrementi di qualità comportano immediatamente forti incrementi di costi (si devono scavalcare diverse curve di livello).

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Principali spostamenti: a parità di quantità, qualità o costo

Analizzando questi spostamenti scopriremo facilmente che cosa faranno i nostri moderni manager illuminati. A domani per l’ultima puntata!

martedì 10 maggio 2011

Quantilità o qualintità? (parte 1)

[Nota: post lungo, diviso in 3 parti che saranno pubblicate in 3 giorni successivi]

Ci sono quei periodi, quelle convergenze astrali, quelle coincidenze sociali. Periodi in cui incontri diverse persone, per diversi motivi, e la discussione ricade sempre sugli stessi concetti. Applicati in campi diversi, ma pur sempre gli stessi concetti di base. Ed allora scopri che non sei il solo a pensarla così, il che da un lato ti rincuora, e dall’altro ti fa intabaccare ancora di più…

In questo periodo, l’argomento ricorrente (sebbene possa comparire in accezioni diverse e con terminologie diverse) che mi sta perseguitando è la relazione tra quantità e qualità, in particolare applicato all’organizzazione del lavoro e dei servizi.

Ed in molti casi si assiste ad una sempre maggiore attenzione ed interesse per la quantità, a scapito della qualità. Già, perché i due attributi sono per propria natura antagonisti.

Proviamo a formalizzare il problema. Supponiamo di volere realizzare un’attività A, con un determinato livello di qualità Q (maiuscolo) ed erogato in quantità pari a q (minuscolo). L’attività A avrà un costo C che dipende (tra gli altri fattori) da Q e q: C(Q, q). Come varia C al variare di Q? e di q?

La qualità è un fattore irraggiungibile: assumendo che esista un livello assoluto di qualità Q=100%, più mi voglio avvicinare al massimo e più dovrò investire. Il primo 70-80% costa poco. Ma passare da Q=80% a Q=90% costa molto di più che passare dal 70% all’80%. E passare al 95% è ancora più costoso. Il costo ha un comportamento asintoticamente crescente all’avvicinarsi al 100%. E’ il ben noto principio paretiano dell’80/20, noto anche come law of diminishing returns.

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Andamento del costo in funzione della qualità

La quantità si comporta in modo decisamente opposto. Passare da q=0 (non fare l’attività A) a q=1 (farla una volta, o per un utente) ha una differenza di costo notevole. Passare da q=1 a q=2 costa meno che raddoppiare. Passare a q=3 costa ancora meno. Su numeri maggiori (da q=100 a q=110) i costi addizionali sono praticamente nulli. Si tratta del fenomeno noto come economia di scala.

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Andamento del costo in funzione della quantità

Ed allora l’essere razionale che vuole eseguire l’attività A, e vuole ottimizzare i costi, che cosa farà? Lo scopriremo nel prossimo post, analizzando il grafico combinato dei due fattori precedenti.

A domani!

sabato 7 maggio 2011

Parcheggio selvaggio per il Fassino-bus

In questi giorni, di fronte alle OGR, per via della mostra di Italia 150, passeranno moltissime persone”. Deve essere questo ciò che ha pensato il responsabile di questo pulmino elettorale pro-Fassino che ho fotografato ieri pomeriggio:

Pulmino elettorale di Fassino in flagrante divieto di sosta

Il furgoncino era parcheggiato in flagrante divieto di sosta, sul marciapiede di accesso alla mostra. Ovviamente è un ennesimo esempio di quanto la legalità, la correttezza e l’etica professionale siano radicate nelle menti dei nostri politici ed aspiranti amministratori (e soprattutto nei loro collaboratori e militanti).

Chissà se il furgone è stato multato (come qualsiasi altro mezzo che avesse parcheggiato lì), o i vigili urbani hanno chiuso un occhio? O l’immunità parlamentare si estende anche a qualsiasi mezzo riporti l’effigie del politico? O nel programma elettorale di Fassino compare un “più parcheggio (selvaggio) per tutti?”.

O forse, semplicemente, ci si comporta così quando un partito si sente “padrone” della città, convinto di continuare a rimanerlo.

venerdì 22 aprile 2011

RFI Chivasso: percorsi intelligenti (2)

Nel mio post precedente avevo analizzato la tortuosità e l’illogicità dei percorsi pedonali di accesso ai binari della stazione ferroviaria di Chivasso. Era emerso come non vi fosse alcuna progettazione che tenesse conto delle reali esigenze degli utenti, ma piuttosto fosse improntata a risolvere in modo estemporaneo e non sistemico una serie di veri o presunti problemi di sicurezza, nel più totale disprezzo per il servizio offerto.

Ora, come promesso, vorrei analizzare l’ultima “chicca” dei nostri progettisti di RFI. Il Binario 6.

Il Binario 6 è storicamente sempre stato il più sfortunato degli altri: il marciapiede è più corto, non è raggiunto dal sottopassaggio (infatti per raggiungerlo occorre attraversare i binari), è privo di pensilina, viene instradato solo sulla direttrice Ivrea-Aosta, …

Voglio concentrarmi sull’accesso al binario: come si vede dalla foto aerea annotata (cliccare per ingrandire), da anni (o decenni?) per raggiungere il binario 6 era possibile prendere il sottopassaggio S, salire in superficie sul binario 5, infine attraversare i binari nel punto di passaggio P. E proprio nel punto P, quando vi erano treni in arrivo, partenza o transito, vi era sempre un ferroviere che controllava che nessuno attraversasse in momenti pericolosi. Semplice, rapido, sicuro.

Accesso al Binario 6 (situazione precedente)

Ma recentemente arriva il momento di gloria anche per il Binario 6. A seguito della variazione di orario in vigore dal 6 marzo 2011, causata dal divieto di accesso ai locomotori a trazione diesel nel passante ferroviario di Torino, occorre “cambiare treno” ad Ivrea oppure a Chivasso, in modo che da/verso Torino prosegua un treno dotato di motrice elettrica, mentre da/verso Aosta continuano a viaggiare le motrici diesel.

In questo modo si raddoppiano le necessità di stazionamento di treni a Chivasso, ed il nostro binario 6 ha un marciapiede troppo “corto” rispetto ai treni che dovrà ospitare nel nuovo assetto. Partono e si concludono i lavori per l’allungamento del marciapiede.

La nuova figura rappresenta la situazione odierna: il marciapiede binario 6 è stato notevolmente allungato sul lato Ovest (verso Torino). Fin qui tutto bene. Ma l’allungamento non è ancora sufficiente: alcuni treni in fermata sul binario 5 occupano l’intera lunghezza del marciapiede, e si prolungano oltre la posizione del sottopassaggio, in direzione Est. Pertanto il precedente passaggio pedonale P non è più agibile (in generale): talvolta è occupato da un treno il sosta.

Accesso al Binario 6 (situazione odierna)

Finalmente arriva l’idea geniale! Spostiamo l’attraversamento P in un nuovo punto, P’, all’estremità Ovest del marciapiede. Ed ovviamente il ferroviere di controllo assisterà i passeggeri nell’attraversamento al punto P’.

Risultato: per prendere un treno in partenza sul binario 6 ora occorre: (1) percorrere il sottopasso S fino al binario 5 e risalire in superficie, (2) percorrere tutto il marciapiede del binario 5 fino al punto P’ di attraversamento (circa 180 metri), (3) attraversare nel punto P’, (4) ripercorrere a ritroso il marciapiede del binario 6 fino alla posizione in cui si trova il treno (altri 180 metri, in funzione di dove si arresti il treno). Complicato, lento, pericoloso.

Sì, pericoloso, ripeto pericoloso, perché molti utenti, per la fretta, il ritardo o la semplice stanchezza, non hanno voglia di sobbarcarsi 360 metri di amena passeggiata solamente per attraversare il binario… ed allora attraversano ancora nel vecchio punto P, nonostante ora sia vietato e, soprattutto, non vi sia nessun ferroviere di guardia.

Solo pochi giorni fa ho visto un treno proveniente da Aosta ed in arrivo al binario 5 dover frenare improvvisamente (o quantomeno provare a farlo, vista l’inerzia che lo contraddistingue) visto che alcuni passeggeri stavano attraversando il binario nel punto vietato-ma-comodo P.

Esiste soluzione? certamente esiste, tutti la conoscono: prolungare il sottopassaggio di altri 10 metri, facendolo arrivare fino al binario 6. Ma nessuno vuole pagare i lavori.

Forse si aspetta che qualcuno muoia nell’attraversamento, e si possa utilizzare il clamore mediatico per avere ulteriori fondi a favore di RFI per sistemare una stazione di sua proprietà con fondi pubblici. Infatti il prolungamento del sottopassaggio rientra in una serie di lavori che RFI stima in circa 10 milioni di euro, mentre la Regione Piemonte attualmente ne mette a disposizione solo 5,5 milioni.

Il nuovo Binario 6 visto dal sovrappassaggio