domenica 28 febbraio 2010

Odissea nel bonus

Ormai molti conoscono le barocche regole imposte da Trenitalia per il recupero dei pochi euro (o frazioni di) di “bonus” per i pendolari abbonati mensili, come compensazione per i ritardi accumulati nel mese. Non sto a discutere sull’intelligenza superiore che sta dietro alla ben nota regoletta «Il rimborso avviene per ogni bimestre, nel periodo centrale del successivo mese pari» (per fare un esempio, per il rimborso di Ottobre devi andare nella seconda settimana di Dicembre; per il rimborso di Novembre invece la data magica cade nella seconda settimana di Febbraio).

Salvo che per qualche motivo l’ultimo bonus è riscuotibile sia in Febbraio 2010 (dal 9 al 25) , sia in Marzo 2010 (dal 9 al 25), in barba alle stesse regole.

Ciò che vi racconto invece è cosa fare per riscuotere il bonus relativo all’abbonamento annuale (che fa una bella cifra…). Sembra che ci si debba recare a sportello almeno 5 volte:

  1. prima volta: ti dicono che il rimborso sarà lungo perché l’abbonamento annuale “Formula” è di GTT e non di Trenitalia, e loro devono chiedere l’autorizzazione. Ovviamente non è possibile chiedere il rimborso direttamente a GTT, ma devi farlo necessariamente attraverso Trenitalia. Se quel giorno hai fretta, ed in più la signora a sportello ti fa capire che non ha nessuna voglia di istruire la pratica, allora decidi di riscuotere il bonus per un “mensile” che avevi arretrato, e di tornare una seconda volta per la pratica.
    1. una chicca: per convincerti a demordere, la solerte signora ti ricorda che devi consegnare una fotocopia fronte e retro della tessera annuale. Allora tu fai notare che del retro non avevi fatto la copia, perché non c’era scritto niente (salvo una scritta prestampata uguale per tutti): nessun codice, nessun nome, ecc. Ma la signora ti ricorda che è sempre meglio farla fronte e retro (ah, la certezza delle norme in Italia…) e tu, fiaccato, cedi.
  2. seconda volta: speri di istruire la pratica, ma ti dicono che devi compilare un modulo e poi restituirlo. Solo che il modulo è lo stesso identico che avevi compilato la prima volta per il mensile. Ti chiedi perché non te l’abbiano dato la prima volta, ti ricordi la faccia della signora, ti rispondi da solo, prendi il modulo e te ne vai.
  3. terza volta: arrivi speranzoso con il modulo compilato, tutte le fotocopie (fronte e retro!), e consegni il tutto. È il 19 febbraio. Ti dicono che il modulo verrà mandato a Torino per l’autorizzazione, e devi tornare per riscuotere i tuoi trentaerotti euro. Però c’è tempo solo fino al 25, perché poi scade il periodo utile. L’autorizzazione ci sarà entro il 25? Nessuno può saperlo. Confuso, saluti e te ne vai.
  4. quarta volta: esattamente il 25 febbraio, ultimo giorno utile, verso sera (non si sa mai che ti autorizzino di pomeriggio), passi speranzoso in biglietteria, fornisci il tuo nome, e l’impiegata (sollevandosi con enorme stizza dalla propria poltroncina) controlla in un faldone se il tuo nome è tra i fortunati. Ovviamente non c’è. Quando posso ripassare? domani? la settimana prossima? Ti dicono che il 25 febbraio è l’ultimo giorno utile, ed i rimborsi riapriranno solo il 9 marzo. Anche se hai presentato domanda prima, i giorni “eletti” sono immutabili. E certo, perché ti spiegano che il 25 chiudono la contabilità, e non possono certo riaprirla solo per te. E non devi alterarti, perché tanto i soldi non li perdi (e ci mancherebbe ancora!). Ma del tempo che perdo non frega davvero niente a nessuno?
  5. quinta volta: quinta e ultima? o no? lo saprò il mitico 9 marzo, quando la contabilità sarà nuovamente “aperta”, ed il faldone forse conterrà anche il mio nome con il timbro “approvato”.

Nel frattempo incrocio le dita…

mercoledì 24 febbraio 2010

Vietato(?) fumare

Premessa: non fumo, quindi non sono in grado di valutare quale possa essere l’impatto di una crisi di astinenza per chi è abituato a fumare.

Tuttavia, le proprie abitudini o i propri vizi non dovrebbero arrogarci il diritto di derogare alle norme della civile convivenza (prima) e del reciproco rispetto (poi, visto che quest’ultimo è in perenne declino).

Pochi minuti fa, nel mio quotidiano pellegrinaggio attraverso il binario 4 di Torino Porta Susa Sotterranea, mi sono imbattuto in ben due persone che beatamente si fumavano la propria sigaretta. In barba ai cartelli di divieto. In barba agli annunci vocali emanati periodicamente.

Non voglio discutere sull’opportunità di applicare tale divieto in una galleria che è a metà strada tra il luogo chiuso ed il luogo aperto, e nel quale passano fior di treni diesel che ammorbano l’aria ben più di qualche decina di grammi di tabacco.

Ma se esiste una regola, o ti batti per cambiarla, o ti adegui, che ti piaccia o no. Così ti insegnavano l’educazione civica a scuola (*). Sarò prevenuto, ma mi par di leggere sui volti di quelle persone un’aria di sfida, o meglio un senso di superiorità e vittoria contro le istituzioni.

E’ certo che il (mio) livello di tolleranza si riduce con l’avanzare della (mia) età, ma alle manifestazioni di arroganza e presunta superiorità non riuscirò mai ad abituarmi senza rodermi dentro. Per fortuna!

 

(*) no, non è vero, queste cose non le insegnano a scuola, e neppure nei canali televisivi che dovrebbero consolidare il senso civico nelle masse. Sono valori tramandati a livello famigliare, per chi ha la fortuna di nascere e crescere nei contesti giusti.

domenica 21 febbraio 2010

Porting

Avete scritto un programma. Che sia un’applicazione standalone, o un’applicazione web, o un’applicazione mobile, in questo caso non fa differenza. L’avete scritto, e funziona. Poi lo trasportate su una macchina diversa, e non funziona più.

Questo scenario mi è capitato innumerevoli volte durante esami o consulenze con studenti. Persone stupite, che si meravigliano che il loro gioiello non funzioni al primo colpo, e che iniziano una serie di divinazioni cabalistiche incolpando il compilatore, le librerie, il sistema operativo, il browser, la rete, la tastiera, o il vicino di casa. Oppure persone sconvolte dal fatto che, dopo aver copiato un file, occorra mettere mano a innumerevoli impostazioni (path, password, servizi, proxy, firewall, …) affinché tutto funzioni a dovere, il che richiede molto tempo ed una buona dose di competenza sugli ingredienti di cui l’applicazione è composta.

È il porting, bellezza. L’arte di fare funzionare la stessa cosa su una macchina diversa. E richiede di solito due attività a cui molti non sono preparati, specie se alle prime armi:

  1. pensare in avanti, anticipando i problemi, parametrizzando le applicazioni, e facendo del testing su macchine diverse già in fase di sviluppo
  2. ricordarsi che anche i migliori registi, attori, scenografi, direttori d’orchestra o musicisti fanno sempre una prova generale, nella quale provano, il giorno prima o la settimana prima, il loro pezzo o la loro performance nel contesto in cui dovrà essere realizzata realmente. Perché chi viene a sostenere un esame non installa il giorno prima il software sulla stessa macchina su cui lo dovrà dimostrare?

Un consiglio per tutti: visto che all’ultimo momento gli imprevisti ci saranno sempre (il mitico “effetto demo”), cerchiamo di premunirci in anticipo, con opportune prove generali, non lasciando il successo della performance alla fortuna del momento.

venerdì 19 febbraio 2010

Scusarsi

Ritorno sul tema delle ferrovie, e del loro rapporto con i clienti (o meglio dire la ‘merce trasportata’?). Chiedo scusa per la monotonia, ma visto che ci spendo diverse ore al giorno, è un tema che sento sul vivo.

E’ da tempo che rifletto sulla frase “Ci scusiamo per il disagio” che chiude ogni annuncio di treni in ritardo. Che il ritardo sia di 10 minuti o di 3 ore, la frase è sempre la stessa. Aggiunta in automatico. Con voce sintetizzata.

Ma che razza di “scuse” sono quelle generate da un algoritmo? Se ho sbagliato e devo scusarmi, lo faccio di persona, ci metto la faccia, mi immedesimo nelle persone a cui ho causato un problema, cerco di motivarne le cause, e non delego certamente ad un comunicato preconfezionato. No, una scusa pre-registrata non può essere una scusa valida, perché manca il riconoscimento dell’errore, il pentimento per lo stesso, la condivisione delle cause, e l’empatia tra il causante disagio e gli sfortunati disagiati.

Inoltre vogliamo discutere sul significato di “disagio”? Dis-agio, ossia non-del-tutto-comodo-e-pasciuto. Sarà magari un disagio un ritardo di 5 minuti, ma solo se non mi fa perdere una coincidenza, o non mi fa arrivare tardi al lavoro o a un appuntamento. Ma dai 10, 20, 30 e oltre minuti, come osi chiamarlo ‘disagio’? Chiamalo problema, grave intoppo, disastro, … Se hai un figlio da recuperare all’uscita da scuola, e non arrivi in tempo, è un dis-agio o un serio problema organizzativo che coinvolge altre persone che devono intervenire e supplire alla tua assenza? Se hai una riunione con i vertici della tua azienda, fissata per le 8:30 del mattino, ti organizzi per prendere un treno prima perché tanto non ti fidi, e riesci ad arrivare comunque in ritardo, è un dis-agio oppure una grande figuraccia con conseguenze sulla percezione che gli altri avranno della tua affidabilità? Sarà dis-agio per il dirigente movimento, che se ne sta seduto comodamente e deve sollevare un dito per lanciare l’annuncio, tanto lui quando finisce l’orario (e non 10, 20, 30 minuti dopo) se ne va a casa… ma per i passeggeri di solito è più che un semplice dis-agio.

Allora riportiamo le parole al loro reale significato. Facciamo gli annunci a voce. Diciamo le cause. E non minimizziamo i problemi altrui.

E magari recuperiamo il rispetto per gli utenti.

martedì 16 febbraio 2010

Comunicazione lampante

Per background personale e professionale, io non so molto di comunicazione, ma ho una sola certezza: l’efficacia della comunicazione dipende dall’informazione che arriva al destinatario. Non dalla buona volontà di chi comunica, non dai soldi spesi per farlo, non dalla dimensione dei cartelli, ma in ultima analisi da quanto il destinatario capisce e ricorda rispetto al messaggio che vogliamo inviare.

Negli oltre due mesi nei quali la mitica “Porta Susa Sotterranea” è entrata in funzione, un problema di comunicazione era rimasto: l’unico modo per uscire dalla stazione “lato Porta Susa” è quello di prendere il sovrappassaggio “D”. Il footbridge D, se seguiamo le indicazioni internazionali. Tutti gli altri sovrappassaggi portano in Corso Inghilterra. Esistevano delle timide indicazioni perlopiù ignorate dai passeggeri, ed il “trucco” per uscire dalla parte giusta veniva tramandato oralmente dai viaggiatori abituali ai “pivellini”, riconoscibili dal volto spaesato che assumono appena messo piede a terra.

Ieri finalmente il problema è stato risolto: in tutti i sovrapassaggi è comparso l’evidentissimo cartello che qui vi riporto:

Cartello esplicativo

Un capolavoro di comunicazione. Chi di noi non avrebbe usato la locuzione “lato fabbricato di stazione” per indicare la “vecchia” stazione di Porta Susa? Chi di noi correttamente sa identificare “Piazza XVIII Dicembre”, che per decenni era stata semplicemente “davanti a Porta Susa”? E che cosa succede se non vi servite “solo” del sovrappassaggio D? venite catapultati nell’iperspazio?

La versione inglese è ancora più esilarante, miracoli che solo Google Translate può realizzare, se usato male.

Fortunatamente l’icona dell’omino che vomita all’indietro ci permetterà di capire al volo il corretto comportamento da tenere.

Grazie Ferrovie, problema di comunicazione risolto! La prossima volta, magari, spendete quei 200 euro in più per farvi scrivere i testi da qualcuno che lo faccia di mestiere, o anche solo fateli leggere a qualcuno dei vostri passeggeri prima di stampare due dozzine di cartelli. O forse avete speso tutti i soldi per farvi dire se ‘sovrappassaggio’ si scrive con una o due ‘p’?