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mercoledì 31 maggio 2017

Un passettino fuori dal medioevo

Gli eventi di queste ultime settimane mi hanno ispirato questa...

Proposta di legge urgente per aiutare l'Italia ad uscire dal Medioevo.

Articolo 1 - Incremento di produttività

1. A partire dal 01/01/2018, i pagamenti attraverso bollettino postale, nei confronti di una qualsiasi pubblica amministrazione, sono vietati.

Articolo 2 - Norme transitorie

1. A partire dal 01/09/2017, tutte le pubbliche amministrazioni dovranno offrire, per i pagamenti nei loro confronti, almeno una alternativa che abbia le seguenti caratteristiche: essere esente da costi per l'utente (comprese ricariche e abbonamenti), non richiedere spostamenti fisici, non richiedere al cittadino di fare delle code.2. Qualora le alternative di cui al precedente comma 1 non siano offerte, o non siano chiaramente comunicate, il cittadino è esentato dal versamento della cifra richiesta.
3. A partire dal 01/01/2018, le modalità di pagamento ammesse dovranno avere tutte le caratteristiche di cui al comma 1.

Articolo 3 - Copertura finanziaria

1. Le misure di cui sopra saranno realizzate a costo zero per le amministrazioni e per gli utenti.2. La produttività guadagnata (tempo risparimiato per gli operatori e dei cittadini) sarà investita nella formazione alla cittadinanza digitale.



venerdì 3 maggio 2013

Semplificazioni mancate

Da noi in Italia le pubbliche amministrazioni sono famose e rinomate soprattutto per un aspetto: saper complicare all’infinito anche le cose più semplici. Da cui, ovviamente, nascono inefficienze e costi spropositati.

Ma anche il settore privato fa la sua parte, e lo racconto con un esempietto.

Ho due figli che vanno a scuola nello stesso comune. Sono due scuole diverse, ma il servizio mensa è lo stesso e viene appaltato dal Comune per tutte le scuole del territorio. In fase di iscrizione, ho optato per il pagamento via RID dei costi relativi.

Ecco cosa succede ogni mese: arrivano a casa due fatture (allo stesso indirizzo), inserite in due buste diverse (con lo stesso indirizzo, talvolta anche scritto a mano), entrambe affrancate, e spedite lo stesso giorno. Le due fatture anticipano che il mese successivo saranno prelevati tot euro dallo stesso conto corrente. E puntualmente avvengono due addebiti sul mio conto.

Non voglio fare il calcolo di quanto costi l’affrancatura in più, la busta in più, ed il RID in più: basterebbe un’unica fattura, con due voci (i due figli), inserita in un’unica busta e pagata con un unico addebito. Per non dire che la fattura potrebbe essere tranquillamente inviata in PDF via e-mail (per lo meno a chi lo richiede).

Piccola consolazione: recentemente l’indirizzo è prestampato (usano buste-finestra) e non manoscritto.

Fatture mensa0

venerdì 16 novembre 2012

Laurea in Scale Mobili

Alcune attività quotidiane sono di semplice esecuzione (es. aprire una porta). Altre, invece, richiedono un po’ più di attenzione e concentrazione (es. cuocere la pasta). Alcune, infine, richiedono una formazione ed abilità specifica (es. stirare).

Ovviamente queste categorie non sono universali, ed alcune attività che per molti sembrano semplici, evidentemente sono complesse per altri, al punto che occorre essere “esperti” per poterle compiere.

Personalmente, ho indugiato un po’ di fronte a questo cartello, cercando di interrogarmi se fossi sufficientemente esperto per l’arduo compito di salire su una scala mobile (in salita, per giunta!).

I passeggeri poco esperti nell'uso della scala mobile sono invitati ad utilizzare l'ascensore

Fortunatamente, a fianco del cartello, c’era un altoparlante che spiegava a ripetizione, in più lingue, le istruzioni d’uso della scala mobile. Così, pur non avendo una laurea specifica in Scale Mobili, ho acquisito quel tanto di esperienza che mi ha permesso di prendere coraggio e salire.

 

p.s. ringrazio l’Aeroporto di Napoli per l’esilarante esperienza

martedì 24 luglio 2012

Onlain (on-line all’italiana)

Sarà uno dei tanti equivoci dovuti alla traduzione. Si sa, noi italiani amiamo utilizzare termini stranieri, soprattutto inglesi, per poterli storpiare ed interpretare con significati diversi dall’originale.

Ma partiamo dall’inizio.

Ho un conto corrente in una banca on-line. Nulla di strano, semplicemente è molto comodo per tutti coloro che hanno difficoltà nel doversi recare il filiale in orario diurno (e magari con file anche notevoli). Vai on-line, ed anche alle 10 di sera riesci a sbrigare tutte le tue pratiche.

Quasi tutte, cioè.

Infatti, pochi giorni fa ho richiesto un nuovo libretto di assegni: la richiesta avviene sul sito, poi per posta arriva il libretto, che dovrai poi attivare e confermare nuovamente sul sito. Procedura standard e collaudata.

Salvo che qualche “innovatore” nella banca ha deciso che il libretto di assegni, anziché essere inviato via posta ordinaria (come avveniva in passato, tanto se non li attivi quegli assegni sono carta straccia), viene ora inviato per posta raccomandata. Domandina per il nostro innovatore: l’utente tipo di una banca on-line, secondo voi, è a casa nelle ore di consegna delle raccomandate? Risultato, mezz’ora di tempo rubata per fare la fila alle Poste e ritirare la raccomandata (sono stato fortunatissimo, c’era pochissima coda).

Probabilmente gli innovatori “nostrani” non hanno ancora chiara la differenza tra “on-line” (accessibile tramite computer ed Internet) ed “on line” (in fila, in coda).

giovedì 20 ottobre 2011

Innovazione, come impedirla

Jobs ed i garage

In questi giorni si è molto parlato della carriera di Steve Jobs, come modello di imprenditore ed innovatore. Senza nulla togliere al carisma della persona ed alla capacità di marketing della sua azienda, molte riflessioni hanno analizzato gli inizi della sua attività, basata su quel modello dei “garage boys” che tanti frutti ha dato nella Silicon Valley degli anni ’70-’80.

A questo proposito ho trovato molto interessante l’allegoria di Stefano Lavori, che descrive cosa sarebbe successo a Jobs se fosse nato a Napoli (ma il tutto è generalizzabile all’Italia intera). Molto divertente e stimolante il pezzo, ma ancora più interessanti sono i commenti, scritti evidentemente da una parte giovane della popolazione, che grossomodo si dividono tra il “bisogna emigrare” ed il “bisogna resistere ad ogni costo”. Triste la pressoché mancanza di commenti del tipo “bisogna cambiare le regole, ed innovare a casa nostra”, indice di scarsissima fiducia nel sistema imprenditoriale ed in quello politico-amministrativo.

Ritchie ed i Bell Labs

Esiste (o esisteva?) anche un altro modello di innovazione, esemplificato da un altro personaggio cardine della storia dell’informatica, anch’egli deceduto in questi giorni (il 12/10/2011), seppur con molto meno clamore: Dennis Ritchie, di una generazione precedente a Jobs. Ritchie, insieme a Brian Kernighan e Ken Thompson faceva parte di un piccolo gruppo di persone, presso i laboratori di ricerca “Bell Labs” del colosso americano AT&T (l’equivalente della nostra Telecom, su scala americana). A differenza degli Steve Jobs e dei Bill Gates, questi personaggi erano ricercatori che avevano un lavoro alle dipendenze di una multinazionale. Ma una multinazionale che sapeva ancora cosa vuol dire fare ricerca.

Il modello di ricerca dei Bell Labs era molto semplice: le persone più brave a fare ricerca venivano lasciate libere di farla. Potevano scegliersi gli argomenti su cui lavorare. Avevano a disposizione le risorse (umane e tecnologiche) per farlo. L’ipotesi di partenza era lapalissiana: se prendo delle persone in gamba e le lascio esprimere, senza troppi vincoli, lacciuoli e laccetti, certamente qualcosa di buono salterà fuori. Ed in ogni caso il costo di un centinaio di persone è praticamente impercettibile in una grande impresa.

E così nel 1969 i nostri Thomspson, Kernighan e Ritchie, stufi di utilizzare un sistema operativo troppo complesso e farraginoso, decisero di provare a scriverne uno più semplice, che soddisfacesse i loro personali requisiti operativi ed estetici. Ottennero facilmente il permesso di utilizzare un vecchio PDP-7 inutilizzato, ed iniziarono a “giocarci”.

Fu così che partorirono la prima versione di Unix. Per gioco. E poiché erano stufi di programmare in assembler, anche perché avrebbe reso impossibile migrare Unix su hardware diversi, decisero (eresia, a quei tempi!) che avrebbero scritto il sistema operativo in un linguaggio di alto livello. Visto che i linguaggi disponibili all’epoca non erano adatti allo scopo, inventarono il linguaggio C. Sempre per gioco.

Un gioco che ebbe influenza su tutta l’informatica moderna.

Oggi, a circa 40 anni di distanza, ogni volta che accendiamo uno smartphone (sia esso un iPhone o un Android), al suo interno parte un sistema operativo derivato da Unix (da una sua versione commerciale od open source, poco importa). Ogni volta che in un indirizzo web scriviamo il carattere slash ‘/’ per indicare una directory, questo discende dalle scelte fatte nella creazione di Unix.

Ogni volta che un programmatore digita ‘{‘, o per andare a capo usa ‘\n’, o pensa al tipo di dato int, riprende il lavoro fatto ai Bell Labs 4 decenni fa. Anche se, oggi, non si programma solo in C ma prevalentemente in C++, C#, Java, JavaScript, php, ActionScript (Flash), … e decine di altri linguaggi minori, che affondano tutti le radici nel C.

Ogni volta che usiamo Internet, lo facciamo grazie al lavoro di altri ricercatori che nel decennio successivo poterono “giocare” con Unix, ed aggiungerne in modo sperimentale le funzionalità di rete, inventando il protocollo TCP/IP. Ciò fu possibile solo su Unix, visto che il sistema operativo era piccolo, leggero, portatile e soprattutto disponibile gratuitamente (no, non open source, il concetto non esisteva ancora) per le università e gli enti di ricerca.

La lezione non appresa

I modelli sopra descritti, che fanno parte della storia, sembrano non avere lasciato traccia nelle organizzazioni oggi deputate a stimolare la ricerca e l’innovazione, siano essi gli enti di ricerca, gli incubatori di impresa, i finanziatori pubblici.

Sia lavorando nel piccolo (non si chiama più garage, ma start'-up), che nel grande (non ci sono i Bell Labs, ma centri e dipartimenti), si riscontra una deriva dell’attenzione dalla bontà dell’idea alla strutturazione del processo.

Mi spiego: oggi, se hai una buona idea nel campo ICT, puoi far leva su Internet, su tool e librerie open source, su ambienti di sviluppo rapido, su emulatori, su app-store, su mashup e servizi web 2.0, … In pochi mesi puoi realizzare un primo prototipo e metterlo alla prova sul mercato: se funziona, potrà decollare, altrimenti non avrai perso troppo tempo né denaro.

Ma non chiedere aiuto a nessuno. Altrimenti dovrai cominciare a fare un budget, un business plan, un’analisi di mercato, una proposta di progetto, un piano di marketing, una ricerca brevettuale ed analisi dei competitor, una previsione di cash flow, un strutturazione in work package, gant, pertt, ecc. ecc.

Mi è successo più volte di incontrare dei giovani i quali, anziché lavorare per 3 mesi e realizzare la loro idea, lavorano invece per 6 mesi sul business plan (in assenza di una reale competenza per realizzarlo bene, e di dati affidabili da utilizzare).

Dopo 6 mesi, se l’idea era buona, qualcun altro l’avrà realizzata. Se non era buona, non lo saprai ancora, perché non avrai avuto modo di provarla, ed allora perderai ulteriore tempo ad implementare una schifezza, magari essendoti indebitato.

Mi sto convincendo che un modello più efficace di sostegno all’innovazione debba essere “lean and light”, snello e leggero. Mi racconti la tua idea in 2-3 ore. Se mi piace e mi convinci, ti finanzio 2-3 mesi di lavoro, 5.000 euro a fondo perduto. Se non mi convinci, amici come prima. Overhead amministrativo: zero. Rischio nell’investimento: basso. Ovviamente occorre investire in tecnici in grado di valutare bene le idee, impegnarsi ad evitare ogni buonismo (dicendo a tutti che l’idea sembra buona), evitare ogni sovrastruttura organizzativa che rallenti lo sviluppo di una prima “beta” lanciata sul mercato.

Insomma, lassez-faire !

Solo dopo, se vi sarà una prima risposta dal mercato, sarà ovviamente necessario re-impostare gli sviluppi futuri in una logica industriale-imprenditoriale. Solo dopo che se ne è appurata la potenzialità.

Mi sembra quasi troppo banale… in che cosa mi sbaglio?

lunedì 4 aprile 2011

Ricettina per il rientro della spesa

Ho una ricetta facile facile per ridurre la spesa di più enti pubblici contemporaneamente. E direi che funziona, visto che ne ho fatto le spese in prima persona…

Per funzionare al meglio, la ricetta richiede una fase preparatoria:

  • per una certa serie di anni consecutivi, abituare tutti i possessori di automobili a ricevere annualmente, con circa un mese di anticipo rispetto alla scadenza del bollo auto, una lettera nella quale si ricorda la scadenza stessa, contenente anche il bollettino premarcato pronto per il pagamento. In questo modo tutti gli automobilisti creeranno una facile associazione mentale: quando arriva la lettera, allora devo rinnovare il pagamento del bollo auto.

La fase preparatoria ha un forte impatto anche perché contestualmente è scomparso l’obbligo di esporre il bollo sul cruscotto, per cui non vi è null’altro di “tangibile” a ricordarci la scadenza.

Ed ecco la semplice ricetta, in tutta la sua genialità:

  • senza preavviso alcuno, smettere di inviare le lettere di avviso della scadenza.

Attenzione ai due ingredienti importanti: il “senza preavviso” e lo “smettere di inviare”.

Ecco i risparmi che si ottengono (valutati come minori uscite o maggiori entrate):

  1. L’ente riscossore non deve sostenere il costo di stampare ed inviare tutte le lettere di sollecito
  2. Le poste italiane hanno meno lavoro da svolgere (e pertanto è giustificata la riduzione del personale e la riduzione della frequenza di consegna)
  3. Molti utenti si ricorderanno in ritardo della scadenza, per cui dovranno pagare la mora
  4. Alcuni utenti non se ne ricorderanno affatto, andando quindi a foraggiare le società di recupero crediti.

Geniale, vero? Con una semplice omissione di un atto non dovuto si accontentano le casse di diversi enti pubblici e privati.

venerdì 4 marzo 2011

Meno uscite, meno entrate

Avevo già raccontato di come un nefasto comma della riforma Gelmini avesse di fatto impedito alle università di stipulare molte tipologie di contratti, e ne avesse complicato notevolmente la stipula di altri.

Questo ha due effetti immediati:

  • l’allontanamento di un certo numero di precari dall’università (con effetti positivi sulle statistiche ministeriali, ma disastrosi sulla vita dei singoli)
  • la diminuzione della spesa da parte delle università (anch’esso graditissimo ai bilanci ministeriali ed ai relativi “guru” economico finanziari, e che si giustifica con una conseguenza logica del sillogismo “nell’università sono tutti fannulloniquindi “qualsiasi spesa sarà per definizione improduttiva”).

imageMi piacerebbe segnalare ai suddetti guru ed esperti che, mentre un taglio di una spesa improduttiva tende ad aumentare l’efficienza del sistema, viceversa il taglio di una spesa produttiva ne riduce la capacità di lavoro, e di conseguenza la capacità di attrarre nuove risorse e nuovi fondi.

In pratica, con mezzi burocratico-amministrativi, è stata forzatamente ridotta la spesa corrente a partire dal 2011, ma ciò implicherà automaticamente una riduzione delle entrate per progetti di ricerca (nelle varie tipologie) a partire dal 2012.

Sono solo parole? Qualunquismo? Non ci credete? Volete un esempio?

Eccolo, il primo che mi è capitato sott’occhio in ordine di tempo: il Master dei Talenti della Fondazione Giovanni Goria e della Fondazione CRT. Questo bando eroga circa 150 borse di studio all’anno. Ma quest’anno l’università non potrà partecipare, perché la tipologia di borse previste dal bando è incompatibile con quelle permesse dalla legge Gelmini. Q.e.d.

sabato 19 febbraio 2011

Controlli fiscali… precisissimi

Non è mai piacevole ricevere una lettera dall’Agenzia delle Entrate: di solito non scrivono per fare gli auguri di compleanno, ma per reclamare (con i salati interessi e sanzioni) un qualche balzello che per qualche motivo (distrazione o omissione) non è stato pagato nei tempi e nei modi (sempre difficili per un comune mortale).

Ancora più sibillino è il contenuto del messaggio, che fa riferimento al modello Unico:

«[…] i conteggi relativi ai dati dichiarati non presentano irregolarità […] Sono emerse, tuttavia, eccedenze d’imposta superiori a quelle dichiarate […]».

Cioè, scusa, puoi ripetere? i conti quadrano, ma ci sono eccedenze d’imposta. E cosa sono queste eccedenze? imposte che ho pagato di troppo, oppure che avrei dovuto pagare in più? Assolutamente indecifrabile per un umano medio.

Per fortuna nella pagina successiva c’è un prospetto dal quale si capisce quali sono le cifre in gioco e quale è stato l’errore nella dichiarazione.

entrate

Quindi, ancorché “da verificare” (testualmente), invece di € 0,00 avrei dovuto dichiarare € 0,00. Si vede che l’errore di dichiarazione giace sull’asse immaginario e non su quello reale.

Son felice che la nostra Agenzia delle Entrate, anziché combattere i veri evasori, impegni le proprie energie ad inviare delle notifiche irrilevanti (anzi, immaginarie) a coloro che avevano i conti in regola. Chissà se questi controlli hanno contribuito a pompare le statistiche presentate dall’Agenzia?

giovedì 11 marzo 2010

L’Itaca del bonus

Ogni Odissea si conclude con la sua Itaca.

Questa mattina (approfittando di un ‘lieve’ ritardo di ‘soli’ 120 minuti del treno che avrei voluto prendere), sono passato in biglietteria per vedere se l’autorizzazione al mio rimborso era arrivata.

Ovviamente la pratica non deve essere delle più frequenti, poiché ha richiesto all’impiegato (oculatamente scelto, perché sapevo che era uno dei più disponibili e mediamente svegli di quell’ufficio) una certa dose di scartabellamento in una cartellina piena di fax e fotocopie, oltre che il doversi consultare con un collega sulla sorte che avrebbe dovuto fare la mia tesserina originale ormai scaduta (che io assolutamente ho rivoluto indietro, poiché è necessaria in fase di dichiarazione dei redditi).

Per farla breve, l’autorizzazione finalmente era giunta, la data odierna ricade negli intervalli ayurvedici nei quali le Ferrovie possono risarcire gli abbonati, per cui mi sono allontanato dallo sportello con in tasca una trentina di euro in più.

A questo punto ero molto più felice di affrontare i 120 minuti di ritardo, sapendo che l’anno prossimo questo vorrà dire che potrò ritirare qualche centesimo in più per compensarmi del tempo perduto.

Peccato che non esista il servizio inverso, ossia: io ti dò 30 euro all’inizio dell’anno, e tu non farai mai più ritardo!

domenica 28 febbraio 2010

Odissea nel bonus

Ormai molti conoscono le barocche regole imposte da Trenitalia per il recupero dei pochi euro (o frazioni di) di “bonus” per i pendolari abbonati mensili, come compensazione per i ritardi accumulati nel mese. Non sto a discutere sull’intelligenza superiore che sta dietro alla ben nota regoletta «Il rimborso avviene per ogni bimestre, nel periodo centrale del successivo mese pari» (per fare un esempio, per il rimborso di Ottobre devi andare nella seconda settimana di Dicembre; per il rimborso di Novembre invece la data magica cade nella seconda settimana di Febbraio).

Salvo che per qualche motivo l’ultimo bonus è riscuotibile sia in Febbraio 2010 (dal 9 al 25) , sia in Marzo 2010 (dal 9 al 25), in barba alle stesse regole.

Ciò che vi racconto invece è cosa fare per riscuotere il bonus relativo all’abbonamento annuale (che fa una bella cifra…). Sembra che ci si debba recare a sportello almeno 5 volte:

  1. prima volta: ti dicono che il rimborso sarà lungo perché l’abbonamento annuale “Formula” è di GTT e non di Trenitalia, e loro devono chiedere l’autorizzazione. Ovviamente non è possibile chiedere il rimborso direttamente a GTT, ma devi farlo necessariamente attraverso Trenitalia. Se quel giorno hai fretta, ed in più la signora a sportello ti fa capire che non ha nessuna voglia di istruire la pratica, allora decidi di riscuotere il bonus per un “mensile” che avevi arretrato, e di tornare una seconda volta per la pratica.
    1. una chicca: per convincerti a demordere, la solerte signora ti ricorda che devi consegnare una fotocopia fronte e retro della tessera annuale. Allora tu fai notare che del retro non avevi fatto la copia, perché non c’era scritto niente (salvo una scritta prestampata uguale per tutti): nessun codice, nessun nome, ecc. Ma la signora ti ricorda che è sempre meglio farla fronte e retro (ah, la certezza delle norme in Italia…) e tu, fiaccato, cedi.
  2. seconda volta: speri di istruire la pratica, ma ti dicono che devi compilare un modulo e poi restituirlo. Solo che il modulo è lo stesso identico che avevi compilato la prima volta per il mensile. Ti chiedi perché non te l’abbiano dato la prima volta, ti ricordi la faccia della signora, ti rispondi da solo, prendi il modulo e te ne vai.
  3. terza volta: arrivi speranzoso con il modulo compilato, tutte le fotocopie (fronte e retro!), e consegni il tutto. È il 19 febbraio. Ti dicono che il modulo verrà mandato a Torino per l’autorizzazione, e devi tornare per riscuotere i tuoi trentaerotti euro. Però c’è tempo solo fino al 25, perché poi scade il periodo utile. L’autorizzazione ci sarà entro il 25? Nessuno può saperlo. Confuso, saluti e te ne vai.
  4. quarta volta: esattamente il 25 febbraio, ultimo giorno utile, verso sera (non si sa mai che ti autorizzino di pomeriggio), passi speranzoso in biglietteria, fornisci il tuo nome, e l’impiegata (sollevandosi con enorme stizza dalla propria poltroncina) controlla in un faldone se il tuo nome è tra i fortunati. Ovviamente non c’è. Quando posso ripassare? domani? la settimana prossima? Ti dicono che il 25 febbraio è l’ultimo giorno utile, ed i rimborsi riapriranno solo il 9 marzo. Anche se hai presentato domanda prima, i giorni “eletti” sono immutabili. E certo, perché ti spiegano che il 25 chiudono la contabilità, e non possono certo riaprirla solo per te. E non devi alterarti, perché tanto i soldi non li perdi (e ci mancherebbe ancora!). Ma del tempo che perdo non frega davvero niente a nessuno?
  5. quinta volta: quinta e ultima? o no? lo saprò il mitico 9 marzo, quando la contabilità sarà nuovamente “aperta”, ed il faldone forse conterrà anche il mio nome con il timbro “approvato”.

Nel frattempo incrocio le dita…