mercoledì 24 novembre 2010

Murphy non dorme…

…e nello scorso week-end è passato a trovarmi.

Qualsiasi ingegnere (e non solo, direi chiunque abbia a che fare con la scienza o la tecnologia, come utente o come ricercatore o sviluppatore) ha sempre una forte adorazione riverenziale per la Legge di Murphy.

Ed è per me un onore testimoniare che Murphy ha prestato attenzione alla mia umile persona e dimora, pochi giorni fa.

Non si potrebbe spiegare altrimenti una contemporanea ed improbabile moria di oggetti tecnologici nelle mie vicinanze. Andando con ordine, nell’arco di due giorni sono passati a nuova vita:

  1. un alimentatore per notebook (originale HP), che poiché presentava in uscita una tensione di 0 V, è stato prti fontamente sostituito con esborso di euro
  2. il circuito di carica del notebook HP che mi aveva fedelmente servito da 4 anni: il PC funziona ancora perfettamente, ma non riceve alimentazione dal trasformatore (neppure da quello nuovo, che a questo punto ho comprato inutilmente, ed è in questi dettagli che si apprezza il genio di Murphy), per cui una volta scaricate le batterie, kaputt… non vi è più nulla da fare
  3. l’alimentatore del PC fisso che avevo in casa (rimasto l’unico disponibile, ovviamente, dopo l’ammutinamento del portatile). O meglio, si è guastata la ventola dell’alimentatore. Ma anche probabilmente il circuito di protezione, per cui a ventola ferma l’alimentatore non si è disabilitato (come dovrebbe), ma a continuato a lavorare producendo calore sufficiente a deformare le parti circostanti. Basta ovviamente cambiare l’alimentatore. Senonché ti fanno sapere che di quella forma e potenza ve ne sono pochi in giro, e sarà difficile (o lungo) trovare il sostituto.
  4. il mattino dopo ovviamente ti svegli di buona lena, intenzionato a comprare il trasformatore (speri ancora di trovarlo al primo colpo) e ad informarti sui prezzi dei notebook (sapendo già che farà male al portafoglio ricomprare un PC intero per un solo integrato morto ma non riparabile perché HP lo posiziona in modo da dover cambiare l’intera scheda madre). Ovviamente tutto il programma della mattina salta perché ti accorgi di avere l’orologio bloccato sull’ora sbagliata. E speriamo che sia solo la batteria…

L’unica nota positiva, l’unico punto di orgoglio: non ho perso neppure un file, neppure un byte, neppure una mail, neppure un bookmark né in indirizzo di mail. L’ho sempre sentito che essere paranoici sui backup, alla fine, paga. E d’ora in avanti farò più attenzione all’ipotesi implicita che “è troppo improbabile che si guastino due cose contemporaneamente”.

martedì 23 novembre 2010

Non ricordavo

Non ricordavo che si potessero prendere due voli di fila senza alcun intoppo.

Non ricordavo che si potesse cambiare volo in un aeroporto che non solo ha un terminal nuovo e tutto sommato gradevole a differenza dei soliti monoliti di calcestruzzo e vetro. E dove mangiare un panino è sì caro, come in tutti gli aeroporti, ma non iperbolico come a Caselle o Malpensa.

Non ricordavo che si potesse arrivare ai caroselli per le valigie grossomodo insieme alle valigie stesse, senza dover necessariamente aspettare 30 minuti. Anzi, poiché un nastro era guasto, ti sbuca un omino che gentilmente e simpaticamente ti avvisa di passare al nastro successivo, e non delega l’informazione ad impersonali annunci o all’arrangiarsi per necessità degli utenti.

Non ricordavo che a mezzanotte inoltrata, in una città grande la metà di Torino, non sia un problema trovare un taxi all’uscita dell’aeroporto. Anzi, ne trovi parecchi, tutti nuovi e con guidatori giovani e cordiali.

Non ricordavo che attraversando le periferie si potesse avere (tutto sommato) l’impressione di ordine e di pulizia.

Non ricordavo che una città che vuole vivere sul turismo possa adottare semplici accorgimenti come avere grandi marciapiedi, ampie zone pedonali, illuminazione e valorizzazione dei monumenti, arredo urbano gradevole e trasporti pubblici funzionanti.

Non ricordavo che potevi prendere un autobus suburbano, trovarlo pulito, pagare il biglietto solo € 1,20 per un viaggio di 40 minuti, poterti sedere ed osservare che neppure il 10% dei passeggeri è costretto a viaggiare in piedi, poter pagare il biglietto direttamente al conducente (che ti saluta), trovare ben 6 sedili per anziani, disabili e mamme, chiaramente indicati da icone ben visibili e da un colore diverso del sedile, ed addirittura trovare un cesto dei rifiuti a bordo del bus.

Non ricordavo che le strade ed i marciapiedi, per loro natura, tendenzialmente rimangono puliti se non ci sono incivili a sporcarli.

Non ricordavo di poter entrare in un hotel, salire in camera, collegarsi al wifi senza pagare e senza neppure recuperare né codici astrusi né password a tempo.

Forse perché non ricordavo che oggi sono in Spagna anziché in Italia, a Málaga anziché a Torino.

venerdì 5 novembre 2010

Viaggiare in treno… verso il web!

Freccia Rossa, Freccia Azzurra, Freccia Bianca: pensavate che fossero i modelli di punta delle nostre ferrovie italiane? Ebbene no, evidentemente vi siete persi la Freccia Internet: un treno che vi porta direttamente ad un sito web.

Non ci credete?

Quadro treni RFI con destinazioni http://

Deve essere un servizio ancora in prova (o dobbiamo dire in Beta?), visto che le destinazioni sono tutte sullo stesso sito web. Ma costruiranno certamente altri nuovi siti-stazioni.

domenica 31 ottobre 2010

Provaci ancora, Enel

Un doveroso seguito alla vicenda dei prezzi biorari illeggibili nelle comunicazioni che Enel fornisce ai propri clienti.

Il problema dell’indistinguibilità della fascia oraria F1 rispetto alle F2 ed F3 è stato risolto, all’italiana, nel peggiore dei modi.

La nuova comunicazione (arrivata con la bolletta di settembre-ottobre) infatti è riportata in colore blu-azzurro di diversa intensità, anziché con le diverse campiture di nero.

Tabella fasce biorarie

Certamente adesso le tabelle sono leggibili, ma si è dovuti passare ad una stampa a due colori anziché ad un solo colore, aumentando il costo. Anche il foglio di carta su cui è stampata la comunicazione non è bianco, bensì azzurrino, il che lascia intuire maggiori costi della carta e del progetto di imbustamento.

Come spesso accade dalle nostre parti, alla carenza di attenzione e/o intelligenza (bastava scegliere delle campiture bianco-nere diverse), si supplisce con dei costi extra, che ovviamente verranno ribaltati sui clienti. Un motivo in più per stare lontani dall’aumento di capitale promosso in questi giorni…

martedì 19 ottobre 2010

Mandelbrot

Pochi giorni fa è mancato Benoît Mandelbrot, noto a tutti i matematici ed agli informatici per avere sviluppato e divulgato la teoria dei frattali, uno dei pochi oggetti matematici a coniugare semplicità (nella formulazione), complessità (negli sviluppi) e bellezza artistica. Una lettura imperdibile è il suo The Fractal Geometry of Nature.

Famosissimo è il suo insieme di Mandelbrot: chi non ha passato innumerevoli ore ad esplorarne i meandri, ringraziando la velocità sempre maggiore delle proprie CPU e delle proprie schede grafiche, giocando con uno dei tanti programmi disponibili?

Update: il concetto di frattale è illustrato in modo semplice ed intuitivo in un suo recente intervento all’evento TED2010.

venerdì 15 ottobre 2010

Presentazione Servizio Poli@Home

Presentazione introduttiva del servizio Poli@Home disponibile su slideshare, relativa alla video-chat pubblica tenutasi il 05/10/2010.

Il Servizio Poli@Home è la nuova modalità didattica in e-learning del Politecnico di Torino. Per maggiori informazioni: http://athome.polito.it

sabato 4 settembre 2010

Prezzi biorari, serve l’oculista

CComunicazione Enelome per la maggior parte delle famiglie italiane, dotate di contatore elettronico, insieme all’ultima bolletta dell’Enel è arrivata una comunicazione che preannuncia l’introduzione dei prezzi “biorari” (neologismo abbastanza orecchiabile, anche se semanticamente errato, in quanto dovrebbe significare ‘ogni due ore’, mentre viene usato come ‘due prezzi diversi’).

Si tratta di un paio di paginette, tutto sommato abbastanza chiare, a parte il fatto che ci si chiede che differenza vi sia tra F2 ed F3, visto che sono sempre citate insieme.

E lo sforzo di comunicazione si spinge anche oltre: una tabellina riassuntiva delle diverse fasce orarie, in modo da comprendere facilmente quando conviene (non) consumare energia. Ecco la tabellina, perfetto esempio di chiarezza espositiva (clicca per ingrandire):

Tabella riassuntiva (clicca per ingrandire)

Chiarezza da fare invidia al “trova le differenze”, pilastro de La Settimana Enigmistica, in quando la campitura utilizzata per la fascia F1 e quella utilizzata per le fasce F2 ed F3 sono praticamente identiche, a meno di non avvicinarsi e/o impegnarsi a fondo.

Come può essere nato un tale obbrobrio di comunicazione? Mi pare di sentirli negli uffici comunicazione: “Ehi, stagista precario, l’hai fatta la tabellina?” “Sì capo, in verde e rosso” “…Ma la stampa sarà in bianco e nero, sostituisci i colori con delle campiture” “Quali campiture?” “Ecchissefrega, prendi quelle di default di Word, che io devo andare a prendermi in caffé, tanto ’sta roba la stampiamo solo in 5 milioni di copie” “occhei capo”.

giovedì 22 aprile 2010

Backup: BackupPC su OpenSuse

Una delle prime cose che solitamente cerco di fare capire ai miei studenti del primo anno, o comunque a chi si avvicina all’informatica, è l’importanza dei backup.

Immaginate se, arrivando a casa (o in ufficio) scopriste che il vostro computer non parte più, perché si è guastato l’hard disk. Succede, sempre, è solo questione di tempo. Questione di “quando succederà”, non di “se succederà”.

A questo punto chiedetevi: a quando risale l’ultima copia di sicurezza dei miei dati?

L’unico modo per essere certi di non perdere dati è quello di dotarsi di un sistema di backup automatico, che non richieda interventi umani né di ricordarsi “che cosa avrò modificato nell’ultima settimana?”. Idealmente, un backup gira da solo, magari di notte, e copia diligentemente tutti i file modificati.

Fortunatamente Windows 7 ora integra già un sistema di backup automatico ed incrementale, che permettere di salvare i propri dati su un server di rete.

Per i gruppi di lavoro, ad esempio dove noi usiamo dei server Linux, esistono tre soluzioni open source solitamente adottate: amanda, bacula e BackupPC. Personalmente ho usato per diversi anni amanda, quando facevo backup su nastro di una rete di server Sun. Non ho mai usato bacula, mentre per i backup su disco uso BackupPC.

Tutto questo lungo discorso per segnalare che, su OpenSuse 11.2, la distribuzione di BackupPC non funziona automaticamente, perché ci sono incompatibilità tra le impostazioni di sicurezza del server apache (che non accetta di eseguire degli script cgi-bin con setuid) ed i prerequisiti del tool di amministrazione via web, che invece richiede il setuid su uno script CGI.

L’incompatibilità si può risolvere grazie all’utilizzo del modulo mod_suexec di apache per forzare l’identità dell’utente che esegue uno script CGI, senza dover ricorrere ai setuid bit. Le istruzioni sono reperibili nel seguente messaggio: http://www.mail-archive.com/backuppc-users@lists.sourceforge.net/msg02018.html. Unica avvertenza (non specificata nel documento linkato): ricordarsi di rendere /usr/sbin/suexec2 setuid root (permessi -rwsr-xr-x), altrimenti apache non riesce comunque a cambiare utente.

Magari a qualcun altro potrà essere utile… sicuramente lo sarà per me, la prossima volta che dovrò reinstallare un server!

giovedì 25 marzo 2010

Libertà e diritti… per chi?

Ieri, visto lo sciopero dei ferrovieri piemontesi, da persona previdente e ben organizzata, ho pensato di tornare a casa in autobus.

Se non fosse che il percorso del bus intersecava una manifestazione di protesta (a quanto pare non annunciata), nella quale alcuni ambulanti, con i rispettivi furgoncini, hanno deciso, in modo totalmente disorganizzato ed improvvisato, di invadere e bloccare le strade e gli incroci di Corso Giulio Cesare, tra Porta Palazzo e l’imbocco dell’autostrada.

Insieme a qualche furgone (il “centinaio” citato da La Stampa mi pare decisamente esagerato), c’erano altrettante auto delle varie forze dell’ordine, che li scortavano in direzione Nord, portandoli fuori dalla città, finché non si sono assembrati nel tratto finale di Corso Giulio Cesare (zona Auchan – Iveco – McDonald’s, per capirci).

Non so quale fosse il merito della protesta, perché oltre gli slogan non si riesce mai a vedere, né dal vivo né attraverso i giornali. So anche che la libertà di manifestare è garantita dalla costituzione. Non mi risulta invece che circolare in furgone nascondendo ed oscurando la propria targa (come facevano in manifestanti) sia proprio legittimo, ma fingiamo di sorvolare.

Ma per garantire la manifestazione di 300 commercianti, si doveva necessariamente fare perdere 60-90 minuti a 10000 persone, sequestrate nelle proprie auto o nei mezzi pubblici da un traffico paralizzato e strade chiuse? Non c’è nessuno che garantisce il mio diritto a ritornare a casa la sera?

martedì 23 marzo 2010

Un decimillesimo di ministro

Ieri pomeriggio, non chiedetemi per quale motivo, era presente al Politecnico il ministro Scajola.

Me ne sono accorto quando, andando a prendere un insano caffè alla solita macchinetta, ho notato uno stridio di gomme ed una confusione provenire dal Corso Castelfidardo. Tre ‘auto blu’ si sono fermate di fronte al Politecnico (a lampeggiante spento), bloccando una delle due corsie del corso e creando un po’ di sconcerto nelle altre auto che, ignare, non capivano la situazione. Poi le auto ‘blu’, illuminate da un lampo di genio, hanno pensato bene di fermarsi sulle strisce blu del parcheggio, anziché occupare la corsia di marcia.

Dopodiché sono usciti (parte dalle auto, parte dal Politecnico) autisti, guardie del corpo, ed altri musi duri. Mentre mi stavo chiedendo chi fosse a meritare tanta attenzione, nell’atrio antistante alle macchinette del caffè si sono materializzati i gradi più alti del governo del Politecnico, amorevolmente ronzanti intorno al ministro.

Strada facendo, ho fatto un rapido calcolo: per le esigenze di trasporto del ministro, erano impegnate 10-15 persone, e 3 auto. Io sono ritornato in treno, guidato da 1 macchinista + 1 capotreno, insieme ad altre 1000 persone.

Fatte le debite proporzioni, l’attenzione che il servizio pubblico (perché sia il treno che le auto blu sono servizi pubblici) dedica ad un normale cittadino è circa 1/10.000 volte rispetto a quella che dedica ad un ministro. Sarà per questo che anche le nostre idee ed esigenze vengono tenute in così bassa considerazione?

lunedì 15 marzo 2010

Acrobazie LDAP

In questi giorni ho potuto apprezzare una volta di più la flessibilità dei sistemi operativi basati su linux (o unix in generale), specie quando devi compiere operazioni di amministrazione di sistema un po’ fuori dal normale.
In questo caso sto gestendo la migrazione degli utenti di un server che era basato su una vecchia versione di Mandriva, e gestiva il database utenti su un server LDAP utilizzando una serie di script (smbldap) da tempo non supportati, migrando il tutto su un nuovo server con openSUSE 11.2. L’obiettivo è continuare ad utilizzare un backend LDAP, ma rimappando la rappresentazione dei dati (il cosiddetto schema LDAP) secondo quanto gestito nativamente dall’ottimo strumento di amministrazione YaST proprio di openSUSE.
Durante la migrazione volevo anche cambiare il login name di alcuni utenti (principalmente come blanda misura antispam) e cancellare altri utenti, non più necessari. Il tutto senza conoscere la password di nessuno, quindi dovevo preservare tutte le password presenti.
LDAP è una di quelle cose che devi affrontare poco per volta, è un directory server di cui la documentazione ti dice tutto ciò che ti server per creare dei fantasmagorici schema personalizzati, e come interrogarli con query anche molto complesse. Ma nessuno ti dice chiaramente come le varie distribuzioni Linux memorizzano i dati degli utenti al suo interno.
O meglio, le informazioni ci sono, anche se poco leggibili, nelle RFC 2256 (A Summary of the X.500(96) User Schema for use with LDAPv3) e RFC 2307 (An Approach for Using LDAP as a Network Information Service). Devi solo leggerle 3 volte, per capire che tutta l’informazione relativa ad un utente si può riassumere in:
dn: uid=loginname,ou=people,dc=cad,dc=polito,dc=it
objectClass: top
objectClass: inetOrgPerson
objectClass: posixAccount
cn: Nome Cognome
sn: Cognome
givenName: Nome
uid: loginname
uidNumber: 12345
gidNumber: 13254
homeDirectory: /home/loginname
loginShell: /bin/bash
userPassword:: e1NTS********dYUmw=






I campi in corsivo sono quelli relativi ad ogni singolo utente, e la userPassword ovviamente è stata modificata per motivi di sicurezza.








Non rimane che creare un bel file di testo contenente esattamente queste informazioni, esportando dal server LDIF precedente quanto serviva, eliminare gli attributi non più utilizzati, rinominare gli attributi che venivano usati in modo diverso nei due schema, ed infine eliminare gli utenti non più desiderati. Alla fine si importa tutto nel nuovo server LDIF, et voilà, login al primo colpo!


I vari passaggi seguiti non sono così interessanti da esser divulgati qui, ma voglio segnalare i principali tool utilizzati:





  • per esportare i dati da un server LDAP usiamo ldapsearch






ldapsearch -L -x -D 'cn=Administrator,dc=cad,dc=polito,dc=it' -W \
-b 'ou=Users,dc=cad,dc=polito,dc=it' '(objectclass=posixAccount)' 






  • per eliminare gli attributi non desiderati, niente di meglio di una serie di grep –v






ldapsearch -L -x -D 'cn=Administrator,dc=cad,dc=polito,dc=it' -W \
-b 'ou=Users,dc=cad,dc=polito,dc=it' '(objectclass=posixAccount)'






  • per rinominare attributi o valori, un po’ di sed e di regular expression






sed 's/uid=\(.*\),ou=Users/uid=\1,ou=people/'






  • infine, per i ritocchi manuali, il grande ldapvi






ldapvi -D cn=Administrator,dc=cad,dc=polito,dc=it






Provate a fare lo stesso su un sistema Windows!

domenica 14 marzo 2010

Spettacoli (anche) per ingegneri

Ieri sono andato con la famiglia a vedere lo spettacolo Walking with Dinosaurs della BBC, uno spettacolo veramente ben fatto ed impressionante, che ha catalizzato l’attenzione di bambini ed adulti.

Molto buona la scenografica, con effetti a sorpresa (piante e fiori, in particolare), ottimo l’audio con la ricostruzione di vari tipi di ruggiti e muggiti preistorici.

Ma la parte più impressionante erano senza dubbio le ricostruzioni a grandezza naturale di alcuni dei dinosauri più famosi, realizzate come robot telecomandati (animatronics). Movimenti veramente realistici e verosimili, seppure limitati dalle dimensioni del palco che costringevano a frequenti retro-marce poco credibili.

L’insieme dell’impianto scenico, di regia, luci e suoni, l’insieme delle tecnologie per la realizzazione dei dinosauri e dei loro telecomandi, il perfetto coordinamento tra attori reali, attori telecomandati ed effetti speciali. Questo è il tipo di cose che varrebbe la pena far sperimentare ai nostri studenti di ingegneria (penso ad ing. del cinema, meccanica, informatica, elettronica, gestionale, eccetera).

Sarebbe stato veramente istruttivo organizzare una sessione al Politecnico in cui i creativi avessero potuto spiegare come lo spettacolo è stato realizzato. Peccato non averci pensato prima!

giovedì 11 marzo 2010

L’Itaca del bonus

Ogni Odissea si conclude con la sua Itaca.

Questa mattina (approfittando di un ‘lieve’ ritardo di ‘soli’ 120 minuti del treno che avrei voluto prendere), sono passato in biglietteria per vedere se l’autorizzazione al mio rimborso era arrivata.

Ovviamente la pratica non deve essere delle più frequenti, poiché ha richiesto all’impiegato (oculatamente scelto, perché sapevo che era uno dei più disponibili e mediamente svegli di quell’ufficio) una certa dose di scartabellamento in una cartellina piena di fax e fotocopie, oltre che il doversi consultare con un collega sulla sorte che avrebbe dovuto fare la mia tesserina originale ormai scaduta (che io assolutamente ho rivoluto indietro, poiché è necessaria in fase di dichiarazione dei redditi).

Per farla breve, l’autorizzazione finalmente era giunta, la data odierna ricade negli intervalli ayurvedici nei quali le Ferrovie possono risarcire gli abbonati, per cui mi sono allontanato dallo sportello con in tasca una trentina di euro in più.

A questo punto ero molto più felice di affrontare i 120 minuti di ritardo, sapendo che l’anno prossimo questo vorrà dire che potrò ritirare qualche centesimo in più per compensarmi del tempo perduto.

Peccato che non esista il servizio inverso, ossia: io ti dò 30 euro all’inizio dell’anno, e tu non farai mai più ritardo!

domenica 7 marzo 2010

Non posso più

Non posso più lamentarmi quando qualche studente, o collaboratore, non rispetta più una scadenza.

Da questo week-end, la prassi ufficialmente legalizzata di fronte a qualsiasi mancanza è di auto-giustificarsi, scrivendosi da soli una nuova norma che ridefinisca i termini della consegna.

Dovrò, evidentemente, adeguarmi a questo nuovo andazzo, anche se richiede uno stravolgimento di molti dei valori con cui sono cresciuto.

venerdì 5 marzo 2010

Ci mancava ancora la ruota

Ieri mattina ho notato per la prima volta l’ennesimo risultato del cattivo gusto che affligge un certo filone della pubblicità, secondo il quale ogni spazio possibile deve essere lottizzato con immagini, loghi e messaggi promozionali.

Stanno iniziando a circolare dei taxi in cui la pubblicità è scritta sulle ruote (qui un esempio), su un pannello circolare che (immagino con un sistema di contrappesi) rimane sempre orientato correttamente, anche mentre la ruota gira.

Mi ricorda un vecchio romanzo di fantascienza che lessi anni fa, L’uomo che vendette la luna, in cui per raccogliere soldi si ipotizzava che l’intera faccia visibile della luna potesse essere usata come spazio pubblicitario.

Speriamo di non arrivarci mai…

lunedì 1 marzo 2010

Cultura di serie B

Una delle pseudo-notizie di oggi sono le statistiche sul numero di insufficienti e/o di 5 in condotta delle nostre scuole superiori.

Questa mattina ho sentito il servizio su Radio24 sul tema, intorno alle 07:15. Voglio riportarvi la frase conclusiva del servizio (di Maria Piera Ceci, che ho riascoltato dal sito per trascrivere le esatte parole):

Bestie nere, come sempre, la matematica e le lingue straniere, ma, ahimè, anche l’italiano

Ed è su quell’infausto “ahimè” che si è infranta la mia speranza. Come dire: puoi essere completamente ignorante sulle lingue straniere (tanto non viviamo in un mondo globalizzato, nell’informazione, nella ricerca, nel lavoro), e puoi non capire una emerita cippa di matematica (e, immagino, tutte le materie scientifiche e tecniche che su di essa si basano). Però guai se non conosci l’italiano.

Fintantoché i dispensatori di cultura e di informazione continueranno a credere che conoscere Jacopone da Todi sia più importante che comprendere i dati riportati in una statistica o saper leggere un manuale in inglese, non avremo mai speranze di un’Italia maggiormente competitiva, aperta, innovatrice.

domenica 28 febbraio 2010

Odissea nel bonus

Ormai molti conoscono le barocche regole imposte da Trenitalia per il recupero dei pochi euro (o frazioni di) di “bonus” per i pendolari abbonati mensili, come compensazione per i ritardi accumulati nel mese. Non sto a discutere sull’intelligenza superiore che sta dietro alla ben nota regoletta «Il rimborso avviene per ogni bimestre, nel periodo centrale del successivo mese pari» (per fare un esempio, per il rimborso di Ottobre devi andare nella seconda settimana di Dicembre; per il rimborso di Novembre invece la data magica cade nella seconda settimana di Febbraio).

Salvo che per qualche motivo l’ultimo bonus è riscuotibile sia in Febbraio 2010 (dal 9 al 25) , sia in Marzo 2010 (dal 9 al 25), in barba alle stesse regole.

Ciò che vi racconto invece è cosa fare per riscuotere il bonus relativo all’abbonamento annuale (che fa una bella cifra…). Sembra che ci si debba recare a sportello almeno 5 volte:

  1. prima volta: ti dicono che il rimborso sarà lungo perché l’abbonamento annuale “Formula” è di GTT e non di Trenitalia, e loro devono chiedere l’autorizzazione. Ovviamente non è possibile chiedere il rimborso direttamente a GTT, ma devi farlo necessariamente attraverso Trenitalia. Se quel giorno hai fretta, ed in più la signora a sportello ti fa capire che non ha nessuna voglia di istruire la pratica, allora decidi di riscuotere il bonus per un “mensile” che avevi arretrato, e di tornare una seconda volta per la pratica.
    1. una chicca: per convincerti a demordere, la solerte signora ti ricorda che devi consegnare una fotocopia fronte e retro della tessera annuale. Allora tu fai notare che del retro non avevi fatto la copia, perché non c’era scritto niente (salvo una scritta prestampata uguale per tutti): nessun codice, nessun nome, ecc. Ma la signora ti ricorda che è sempre meglio farla fronte e retro (ah, la certezza delle norme in Italia…) e tu, fiaccato, cedi.
  2. seconda volta: speri di istruire la pratica, ma ti dicono che devi compilare un modulo e poi restituirlo. Solo che il modulo è lo stesso identico che avevi compilato la prima volta per il mensile. Ti chiedi perché non te l’abbiano dato la prima volta, ti ricordi la faccia della signora, ti rispondi da solo, prendi il modulo e te ne vai.
  3. terza volta: arrivi speranzoso con il modulo compilato, tutte le fotocopie (fronte e retro!), e consegni il tutto. È il 19 febbraio. Ti dicono che il modulo verrà mandato a Torino per l’autorizzazione, e devi tornare per riscuotere i tuoi trentaerotti euro. Però c’è tempo solo fino al 25, perché poi scade il periodo utile. L’autorizzazione ci sarà entro il 25? Nessuno può saperlo. Confuso, saluti e te ne vai.
  4. quarta volta: esattamente il 25 febbraio, ultimo giorno utile, verso sera (non si sa mai che ti autorizzino di pomeriggio), passi speranzoso in biglietteria, fornisci il tuo nome, e l’impiegata (sollevandosi con enorme stizza dalla propria poltroncina) controlla in un faldone se il tuo nome è tra i fortunati. Ovviamente non c’è. Quando posso ripassare? domani? la settimana prossima? Ti dicono che il 25 febbraio è l’ultimo giorno utile, ed i rimborsi riapriranno solo il 9 marzo. Anche se hai presentato domanda prima, i giorni “eletti” sono immutabili. E certo, perché ti spiegano che il 25 chiudono la contabilità, e non possono certo riaprirla solo per te. E non devi alterarti, perché tanto i soldi non li perdi (e ci mancherebbe ancora!). Ma del tempo che perdo non frega davvero niente a nessuno?
  5. quinta volta: quinta e ultima? o no? lo saprò il mitico 9 marzo, quando la contabilità sarà nuovamente “aperta”, ed il faldone forse conterrà anche il mio nome con il timbro “approvato”.

Nel frattempo incrocio le dita…

mercoledì 24 febbraio 2010

Vietato(?) fumare

Premessa: non fumo, quindi non sono in grado di valutare quale possa essere l’impatto di una crisi di astinenza per chi è abituato a fumare.

Tuttavia, le proprie abitudini o i propri vizi non dovrebbero arrogarci il diritto di derogare alle norme della civile convivenza (prima) e del reciproco rispetto (poi, visto che quest’ultimo è in perenne declino).

Pochi minuti fa, nel mio quotidiano pellegrinaggio attraverso il binario 4 di Torino Porta Susa Sotterranea, mi sono imbattuto in ben due persone che beatamente si fumavano la propria sigaretta. In barba ai cartelli di divieto. In barba agli annunci vocali emanati periodicamente.

Non voglio discutere sull’opportunità di applicare tale divieto in una galleria che è a metà strada tra il luogo chiuso ed il luogo aperto, e nel quale passano fior di treni diesel che ammorbano l’aria ben più di qualche decina di grammi di tabacco.

Ma se esiste una regola, o ti batti per cambiarla, o ti adegui, che ti piaccia o no. Così ti insegnavano l’educazione civica a scuola (*). Sarò prevenuto, ma mi par di leggere sui volti di quelle persone un’aria di sfida, o meglio un senso di superiorità e vittoria contro le istituzioni.

E’ certo che il (mio) livello di tolleranza si riduce con l’avanzare della (mia) età, ma alle manifestazioni di arroganza e presunta superiorità non riuscirò mai ad abituarmi senza rodermi dentro. Per fortuna!

 

(*) no, non è vero, queste cose non le insegnano a scuola, e neppure nei canali televisivi che dovrebbero consolidare il senso civico nelle masse. Sono valori tramandati a livello famigliare, per chi ha la fortuna di nascere e crescere nei contesti giusti.

domenica 21 febbraio 2010

Porting

Avete scritto un programma. Che sia un’applicazione standalone, o un’applicazione web, o un’applicazione mobile, in questo caso non fa differenza. L’avete scritto, e funziona. Poi lo trasportate su una macchina diversa, e non funziona più.

Questo scenario mi è capitato innumerevoli volte durante esami o consulenze con studenti. Persone stupite, che si meravigliano che il loro gioiello non funzioni al primo colpo, e che iniziano una serie di divinazioni cabalistiche incolpando il compilatore, le librerie, il sistema operativo, il browser, la rete, la tastiera, o il vicino di casa. Oppure persone sconvolte dal fatto che, dopo aver copiato un file, occorra mettere mano a innumerevoli impostazioni (path, password, servizi, proxy, firewall, …) affinché tutto funzioni a dovere, il che richiede molto tempo ed una buona dose di competenza sugli ingredienti di cui l’applicazione è composta.

È il porting, bellezza. L’arte di fare funzionare la stessa cosa su una macchina diversa. E richiede di solito due attività a cui molti non sono preparati, specie se alle prime armi:

  1. pensare in avanti, anticipando i problemi, parametrizzando le applicazioni, e facendo del testing su macchine diverse già in fase di sviluppo
  2. ricordarsi che anche i migliori registi, attori, scenografi, direttori d’orchestra o musicisti fanno sempre una prova generale, nella quale provano, il giorno prima o la settimana prima, il loro pezzo o la loro performance nel contesto in cui dovrà essere realizzata realmente. Perché chi viene a sostenere un esame non installa il giorno prima il software sulla stessa macchina su cui lo dovrà dimostrare?

Un consiglio per tutti: visto che all’ultimo momento gli imprevisti ci saranno sempre (il mitico “effetto demo”), cerchiamo di premunirci in anticipo, con opportune prove generali, non lasciando il successo della performance alla fortuna del momento.

venerdì 19 febbraio 2010

Scusarsi

Ritorno sul tema delle ferrovie, e del loro rapporto con i clienti (o meglio dire la ‘merce trasportata’?). Chiedo scusa per la monotonia, ma visto che ci spendo diverse ore al giorno, è un tema che sento sul vivo.

E’ da tempo che rifletto sulla frase “Ci scusiamo per il disagio” che chiude ogni annuncio di treni in ritardo. Che il ritardo sia di 10 minuti o di 3 ore, la frase è sempre la stessa. Aggiunta in automatico. Con voce sintetizzata.

Ma che razza di “scuse” sono quelle generate da un algoritmo? Se ho sbagliato e devo scusarmi, lo faccio di persona, ci metto la faccia, mi immedesimo nelle persone a cui ho causato un problema, cerco di motivarne le cause, e non delego certamente ad un comunicato preconfezionato. No, una scusa pre-registrata non può essere una scusa valida, perché manca il riconoscimento dell’errore, il pentimento per lo stesso, la condivisione delle cause, e l’empatia tra il causante disagio e gli sfortunati disagiati.

Inoltre vogliamo discutere sul significato di “disagio”? Dis-agio, ossia non-del-tutto-comodo-e-pasciuto. Sarà magari un disagio un ritardo di 5 minuti, ma solo se non mi fa perdere una coincidenza, o non mi fa arrivare tardi al lavoro o a un appuntamento. Ma dai 10, 20, 30 e oltre minuti, come osi chiamarlo ‘disagio’? Chiamalo problema, grave intoppo, disastro, … Se hai un figlio da recuperare all’uscita da scuola, e non arrivi in tempo, è un dis-agio o un serio problema organizzativo che coinvolge altre persone che devono intervenire e supplire alla tua assenza? Se hai una riunione con i vertici della tua azienda, fissata per le 8:30 del mattino, ti organizzi per prendere un treno prima perché tanto non ti fidi, e riesci ad arrivare comunque in ritardo, è un dis-agio oppure una grande figuraccia con conseguenze sulla percezione che gli altri avranno della tua affidabilità? Sarà dis-agio per il dirigente movimento, che se ne sta seduto comodamente e deve sollevare un dito per lanciare l’annuncio, tanto lui quando finisce l’orario (e non 10, 20, 30 minuti dopo) se ne va a casa… ma per i passeggeri di solito è più che un semplice dis-agio.

Allora riportiamo le parole al loro reale significato. Facciamo gli annunci a voce. Diciamo le cause. E non minimizziamo i problemi altrui.

E magari recuperiamo il rispetto per gli utenti.

martedì 16 febbraio 2010

Comunicazione lampante

Per background personale e professionale, io non so molto di comunicazione, ma ho una sola certezza: l’efficacia della comunicazione dipende dall’informazione che arriva al destinatario. Non dalla buona volontà di chi comunica, non dai soldi spesi per farlo, non dalla dimensione dei cartelli, ma in ultima analisi da quanto il destinatario capisce e ricorda rispetto al messaggio che vogliamo inviare.

Negli oltre due mesi nei quali la mitica “Porta Susa Sotterranea” è entrata in funzione, un problema di comunicazione era rimasto: l’unico modo per uscire dalla stazione “lato Porta Susa” è quello di prendere il sovrappassaggio “D”. Il footbridge D, se seguiamo le indicazioni internazionali. Tutti gli altri sovrappassaggi portano in Corso Inghilterra. Esistevano delle timide indicazioni perlopiù ignorate dai passeggeri, ed il “trucco” per uscire dalla parte giusta veniva tramandato oralmente dai viaggiatori abituali ai “pivellini”, riconoscibili dal volto spaesato che assumono appena messo piede a terra.

Ieri finalmente il problema è stato risolto: in tutti i sovrapassaggi è comparso l’evidentissimo cartello che qui vi riporto:

Cartello esplicativo

Un capolavoro di comunicazione. Chi di noi non avrebbe usato la locuzione “lato fabbricato di stazione” per indicare la “vecchia” stazione di Porta Susa? Chi di noi correttamente sa identificare “Piazza XVIII Dicembre”, che per decenni era stata semplicemente “davanti a Porta Susa”? E che cosa succede se non vi servite “solo” del sovrappassaggio D? venite catapultati nell’iperspazio?

La versione inglese è ancora più esilarante, miracoli che solo Google Translate può realizzare, se usato male.

Fortunatamente l’icona dell’omino che vomita all’indietro ci permetterà di capire al volo il corretto comportamento da tenere.

Grazie Ferrovie, problema di comunicazione risolto! La prossima volta, magari, spendete quei 200 euro in più per farvi scrivere i testi da qualcuno che lo faccia di mestiere, o anche solo fateli leggere a qualcuno dei vostri passeggeri prima di stampare due dozzine di cartelli. O forse avete speso tutti i soldi per farvi dire se ‘sovrappassaggio’ si scrive con una o due ‘p’?

venerdì 29 gennaio 2010

Scrolling

Luogo: Stazione ferroviaria di Milano Centrale (sulle cui assurdità logistiche ha già molto sagacemente predicato Vittorio). Oggetto: il tabellone luminoso “gigante” che riporta le partenze (appeso al muro di fronte ai binari centrali).

Il tabellone sostituisce i vecchi pannelli a lettere mobili (quelli scritti in bianco su sfondo nero, che ad ogni cambiamento tac-tac-tac facevano ruotare le letterine). Quello attuale è invece realizzato a matrice di punti (presumibilmente LED), simile a questo.

Fin qui tutto bene, la tecnologia è moderna, meno rumorosa, e (forse) richiede meno manutenzione. Vorrei però trovarmi di fronte a chi ha inventato l’algoritmo di scrolling delle informazioni, e fargli alcune domande esistenziali…

Mi spiego meglio: il tabellone delle partenze contiene, per ogni riga, due tipi di informazioni: alcuni campi fissi (numero del treno, destinazione, orario di partenza, ritardo) ed il campo più a destra che contiene informazioni di lunghezza variabile. Solitamente tale campo contiene l’elenco di tutte le fermate del treno, con il relativo orario di arrivo. E l’elenco delle fermate è quasi sempre più lungo dello spazio a disposizione. La soluzione: l’elenco delle fermate viene mostrato con un effetto di scrolling orizzontale (chi si ricorda il tag <marquee>?).

Qual è il problema? il problema nasce quando un treno parte (che a Milano Centrale avviene circa ogni 2 minuti): le informazioni sul treno appena partito vengono eliminate dal tabellone, e tutti i treni successivi vengono spostati in alto di una riga, per riempire tale spazio e fare posto ad un nuovo treno nell’ultima riga.

Ed ecco il colpo di genio del progettista: quando le info di un treno vengono sollevate di una riga, il testo in scrolling viene fatto ripartire da capo. Non continua da dove era arrivato, ma riparte da “Ferma a: …”.

Immaginate un povero tapino che deve prendere il regionale da Milano a Chivasso: deve subire lo scrolling che dice “Ferma a: Rho Fiera Milano (xx:xx), Magenta (xx:xx), Novara (xx:xx), Vercelli (xx:xx), Santhià (xx:xx), Chivas” e… patatrac! a questo punto parte un treno, e tutta la videata viene resettata e tu non saprai mai quando arriverai a Chivasso. Lo scrolling riparte, e tu pazientemente aspetti che ri-scorra tutta la scritta, pregando che nel frattempo non parta un altro treno… il che puntualmente avviene!

Quanto mi piacevano i vecchi tabelloni cartacei…

mercoledì 27 gennaio 2010

Scadenze

Ci sono due parole della lingua italiana che probabilmente hanno perso di significato, o l’hanno modificato. Ma nessuno mi aveva avvisato, quindi scusatemi.

Queste parole sono: “obbligatorio” e “scadenza”. Come ad esempio nella frase “è obbligatoria la prenotazione, entro la scadenza delle ore xx del giorno yy”.

Se per qualche motivo non ti prenoti entro le ore xx del giorno yy, e te ne accorgi alle ore xx+1 o +2 o +3, oppure al giorno yy+1, cosa fai?

  • Opzione 1 (obsoleta): te la prendi con te stesso, perché nelle varie settimane prima della scadenza in cui avresti potuto prenotare, e non l’hai fatto, e ti riprometti di fare più attenzione la prossima volta
  • Opzione 2 (attuale, a valle della riforma del significato delle parole): inizi a cercare il/la responsabile della prenotazione, cerchi di giustificare le tue motivazioni, cerchi di convincerlo/a a prenotarti ugualmente, e se non basta chiederlo una volta, lo chiedi due. Il tutto presumibilmente in base a due solidi principi: (a) tutto si può sistemare, bussando alle porte giuste, e (b) il livello di verità di un’affermazione tende ad aumentare con il numero di ripetizioni dell’affermazione stessa.
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