giovedì 11 agosto 2016

La legge di Pournelle

Inizia sempre così: una serie di piccoli malfunzionamenti, non del tutto correlati, che suggeriscono che qualcosa sia da riparare o sostituire. Questa volta è il turno della rete locale in casa mia: disconnessioni temporanee, Wi-Fi incerto, switch che si bloccano, ecc.
La reazione è scontata: sostituiamo i componenti più vecchi (quando un Access Point Wi-Fi o un router ADSL superano i 5/6, oltre a non essere più aggiornati con le attuali velocità di trasferimento dati, è possibile che inizino a mostrare segni di vecchiaia). Soprattutto se non erano componenti di marca primaria.
Cambiamo l'Access Point. I malfunzionamenti non si risolvono, anzi forse peggiorano leggermente. Allora cambiamo anche il router ADSL. Stessa solfa. Un vecchio switch Ethernet 10/100, collegato al ruoter, può cedere il passo ad un nuovo switch Gigabit. Ed i problemi peggiorano.

Ed è a questo punto (cioè poco prima di iniziare a sbattere la testa contro il muro), che ti ricordi della mitica legge di Pournelle.
I più maturi (cioè anziani) nel mondo dell'informatica se lo ricorderanno: la mitica rivista BYTE è stato un punto di riferimento per circa 20 anni. La più seria rivista di informatica, che univa all'aspetto commerciale (presentazioni di nuovi prodotti, cosa che fanno tuttora le riviste) anche quello tecnologico (con articoli di approfondimento, tecnicamente corretti ma alla portata di tutti) e quello critico (con prove approfondite dei prodotti, soprattutto hardware). Se eri fortunato potevi trovarla in qualche edicola ben fornita (che di solito ne aveva una copia, quindi dovevi arrivare per primo). Oppure potevi abbonarti e fartela spedire direttamente dagli USA (taciamo sui costi di spedizione). [Nota: molti numeri di Byte sono stati scansiti e caricati sull'Internet Archive]
Una delle rubriche fisse di byte era "Chaos Manor" (e prima ancora "The User's Column"), in cui Jerry Pournelle (noto come scrittore e giornalista) raccontava le proprie personali vicissitudini con l'informatica, da utente avanzato ma non esperto, alle prese con le nuove uscite hardware e software. Con tono ironico (e talvolta saccente), aiutava a vedere l'altra faccia dell'informatica, ossia le difficoltà di comprensione, gestione e manutenzione, che spesso rischiano di portare via più tempo rispetto al reale utilizzo dei sistemi informatici.
Nelle sue sperimentazioni, Pournelle aveva coniato la sua famosa legge: «Check the cables, first». Stava ad indicare che il 90% dei problemi nasce spesso da problemi di connessione (connettori, cavi, contatti) di scarsa qualità o non perfettamente collegati.

L'applicazione della legge di Pournelle ha dato risultati insperati. Ho scoperto che stavo usando cavi Etnernet "di recupero", alcuni di categoria 5 (anziché 5E, necessaria per le velocità superiori ai 100 Mbps), alcuni addirittura senza categoria marchiata, parecchi con connettori "ballerini" o crimpati male. Risultato: buttati via i cavi inaffidabili, acquistati una decina di cavi Ethernet nuovi. Addirittura un paio di prese Ethernet cablate non erano correttamente connesse (contatti incerti) e le ho dovute ri-crimpare (imparando come si fa su YouTube, ovviamente).
Con il senno di poi, si spiega anche perché i problemi tendessero ad aumentare aggiornando l'hardware: se un cavo (o connettore) regge "abbastanza bene" a 100 Mbps, nel momento in cui entrambi i capi (lo switch, il router, il PC, ...) cercano di comunicare a 1 Gbps, i difetti di connessione rendono impossibile la comunicazione, causando pacchetti persi, o periodicamente il reset dell'interfaccia di rete e/o dello switch, fino ad arrivare ad alcuni switch che si auto-disabilitano per i troppi errori.

Ora che i problemi indoor sono risolti (fino alla prossima disavventura, ovviamente), le difficoltà rimanenti sono e continuano ad essere quelle dovute alla penosa qualità della ADSL che Tim riesce a portarmi in casa. Ma questa è un'altra storia.

lunedì 4 luglio 2016

La signora Gabriella

Questo post è un ringraziamento pubblico per la signora Gabriella, e di tutte le signore come lei che ci tengono a renderci la vita un po' più complicata (pardon, interessante). Nota: Gabriella è un nome di fantasia, anche se casualmente coincide con il nome che aveva stampato sul proprio badge.
Gabriella si alza ogni mattina per andare a lavorare in banca, allo sportello di una filiale di una piccola località ligure. Ed aspetta la sua occasione per venire incontro alle esigenze dei clienti.
Capita, un giorno, che il cliente fossi io. A dir la verità, molto umilmente, volevo solamente prelevare qualche euro dal Bancomat della filiale, ma all'asetticità del Bancomat si è presto sostituito un rapporto personale con Gabriella. Ma andiamo per ordine.

  • Ore 12:00, arrivo al Bancomat (posto all'esterno della filiale), inserisco la tessera. Un gesto comune, fatto da milioni di persone ogni giorno.
  • Nessuna reazione. La tessera viene risucchiata, ma il Bancomat sembra non accorgersene. Continua a dire "Inserire la tessera". Attendo un attimo, non succede nulla. Provo a premere Annulla, non succede nulla. Un po' di altri tasti a caso, non succede nulla. Diagnosi: il Bancomat mi ha "catturato" la tessera per qualche motivo.
  • Poiché la banca è aperta, entro (semivuota, per fortuna niente code) e mi reco al primo sportello libero. Gabriella. Espongo il problema, e lei mi dice che devo semplicemente aspettare, e la tesserà verrà restituita automaticamente.
  • Faccio presente che, se il Bancomat dice "Inserire la tessera", probabilmente non si è accorto di averla catturata, ed è improbabile che la possa restituire. Ma Gabriella ne sa più di me, ed insiste di tornare fuori ad aspettare.
  • Con fatica, vista la mia stizza, si alza dalla sedia, percorre 5 passi fino a raggiungere l'interno del Bancomat, apre uno sportello, guarda dentro non molto convinta e ribadisce la verità inoppugnabile dei fatti: "Qui non c'è".
  • Coda tra le gambe, torno fuori ad aspettare come un cretino.
  • Passati 10 minuti, durante i quali ho provato una serie di cose inutili (prova ad inserire un'altra tessera: impossibile, non entra perché lo slot è già occupato; prova a schiacciare tasti che neanche Allevi: inutile; prova con qualche gentile scossone, vuoi mai che vada in 'tilt' come i flipper: inutile), decido di tornare dentro.
  • Lo sguardo di Gabriella, come avesse visto una nutria in decomposizione, cerca di scoraggiarmi dal rivolgersi nuovamente a lei. E lo farei volentieri, vista la simpatia dimostrata, ma purtroppo di fronte al bisogno sono costretto a ri-spiegare da capo il problema.
  • La risposta, questa volta, è stata di tornare fuori ad aspettare, che il Bancomat avrebbe restituito la tessera. Dopo quanto? chiedo io. 2 minuti, 5 minuti, 10 minuti, mezz'ora? La risposta, testuale, è stata "Se lo sapessi sarei un'indovina". Grande, impiegata dell'anno, anzi del secolo. Direttrice delle relazioni con i clienti. Preside della facoltà di comunicazione.
  • L'aspirante indovina, a riprova della sua dedizione al caso, ri-compie nuovamente i 5 passi, facendo pesare ogni movimento, e torna ad aprire la macchina. La tessera "non è caduta", e non può prenderla finché la macchina non la restituisce. E se la prendesse, non potrebbe restituirmela, ma sarebbe necessaria un'autorizzazione della mia banca.
  • Torno fuori, più per sbollire la rabbia che per realmente aspettare la tessera.
  • In tutto questo tempo passano diverse persone, che vorrebbero prelevare, con le quali condivido la storiella, e condividiamo l'amore per le cose che funzionano bene. Il commento di tutti, unanime, è stato "ma dentro non la possono aiutare?". E certo che no! Se no che ci stanno a fare?
  • Nel frattempo, il Bancomat fa un po' di tutto (Fuori servizio, attendere prego. Sincronizzazione con il server. Riavvio.), forse come parte di procedure di auto-diagnostica, forse perché magari qualcuno ha premuto un tastino. Fa un po' di tutto, ottenendo un po' di niente.
  • Passata mezz'ora dall'inizio dell'evento, decido di far bloccare la tessera e farmene spedire una nuova dalla banca, piuttosto che dover accampare lì fuori per 3 giorni e 2 notti.
  • Ritorno in banca per comunicare a Gabriella (cercava di nascondersi tra una risma di fogli) che poteva estrarre la tessera e distruggerla, quando scatta l'illuminazione: una collega, forse incuriosita dalla relazione che si stava creando tra me e Gabriella, suggerisce di chiedere a Roberto.
  • Roberto. La salvezza. Roberto è un tipo, presente in filiale, camicia hawaiana, capello lungo, sguardo vivo (finalmente). In 10 secondi riassumo la situazione. "Ma è mezz'ora che aspetta?" Certo, che dovevo fare? "Aspetti che verifico". Sguardi feroci tra Roberto e Gabriella. Gabriella che cerca di negare il fatto che io fossi già entrato 3 volte (forse mi ha confuso con la nutria).
  • Roberto fa i 5 fatidici passi (per lui sono solo 3, è un po' più agile), fa scattare una serratura, fa scorrere un meccanismo su una slitta, prende la mia tessera, e richiude il tutto. "Ci voleva tanto?" è il suo commento. Sarebbe anche il mio, ma non saprei a chi rivolgerlo.
  • Documento d'identità, fotocopia, data, controfirma, ed il 30 secondi sono fuori con la mia tessera.
Forse il post dovrebbe essere un ringraziamento a Roberto, tutto sommato. Che come tutte le persone sveglie di questo mondo, fa il suo lavoro. Lo fa bene, con cortesia ed efficienza. E vorrebbe probabilmente trasferire buona parte dei suoi colleghi a vivere in un allevamento di nutrie, visto che sul lavoro non fanno altro che creare problemi ed ostacoli.